IL RISO E IL
PIANTO, AI TEMPI DI CHARLIE HEBDO
La
famigerata vignetta del settimanale francese “Charlie Hebdo” sul
terremoto di Amatrice attiva quesiti di base tutt'altro che nuovi,
ma pur sempre stringenti: cos'è la satira? Si può davvero ridere di tutto?
Esistono una buona ed una cattiva satira?
Per
satira si intende un genere artistico caratterizzato dall'attenzione
critica verso temi legati alla politica, al costume o alla stretta
attualità, con l'intento di metterne in rilievo -tramite
l'esasperazione ed il riso- le contraddizioni, promuovendo il
cambiamento ed progresso. La differenza tra comicità tout court
e satira è dato proprio dal riferimento specifico ed esplicito che
l'artista muove verso fatti e persone ben precise e riconoscibili,
riferimento assente nel campo del comico e presente appunto in quello
della satira.
Fin
qui la necessaria premessa teorica. Tuttavia, la serietà dei fatti
che fanno da sfondo alla vicenda obbliga alla concretezza, persino
negli ambiti deputati al discorso. Il giudizio personale di chi
scrive è che la vignetta in questione non sia ben riuscita,
principalmente perché non riesce a far ridere, e questo non già per
oltrepassati limiti di morale o di decenza (che sono manifesti), ma
perché -più prosaicamente e laicamente- gioca su stereotipi
scadenti, persino scaduti, nel senso di triti, passati, fino al punto
di risultare abbondantemente esauriti dall'usura e dai tempi.
Un
conto è però la reazione, che spetta a ciascuno sulla base
di inviolabili fattori e motivazioni individuali; altro conto è la
riflessione, che necessita di maggior elaborazione e di
maggior distacco.
Giorni
fa, un radioascoltatore ricordava il terremoto dell'Irpinia e le
vignette che produsse all'epoca l'italianissimo giornale satirico “Il
Male” (spesso rievocato come reliquia di un passato più colto e
più virtuoso, come sempre accade nell'Olimpo immateriale dei
ricordi). Insomma, per farla breve, pare che neanche “Il Male” ci
andò troppo leggero. Era il 1980. Altri tempi, si dirà, altra
Italia, altro livello culturale ed altra tensione morale.
Qual è
dunque la differenza? La vignetta di “Charlie Hebdo” è brutta
mentre quelle comparse su “Il Male” erano belle? Oppure la
colpa principale dei disegnatori francesi sta nel fatto di non essere
italiani (ci sarebbe quindi un limite territoriale per la satira,
almeno su certi fatti). Per altro, il tutto accade proprio nei giorni
in cui, prima dell'amichevole Italia-Francia, il capitano azzurro
Buffon stigmatizza platealmente i fischi riversati dal pubblico
italico sulle note dell'inno nazionale francese.
L'impressione
è che si tratti di valutazioni valide, ma di contorno, mentre la
questione dirimente rimane altra e più profonda, proprio per questo
più opaca all'occhio e più bisognosa della luce del ragionamento.
La considerazione più convincente è che oggi, rispetto a trentasei
anni fa, è cambiata la percezione dei fatti e la consapevolezza
delle rappresentazioni, comprendendo anche la satira. Rispetto
al passato, nel vituperato presente, è cresciuto il livello di
coscienza sociale, e questo è un dato complessivo che supera il caso
specifico, trovando conferma anche in altre questioni fattuali: temi
come la pena di morte o la violenza sulle donne vengono spesso
percepiti erroneamente come urgenze tipiche, persino esclusive del
presente, mentre in realtà presentano oggi dati numerici in calo
rispetto al passato (al pari di rapimenti, furti ed omicidi).
Questo
non giustifica né appaga, ma mostra il fenomeno di una percezione
falsata che riguarda la dimensione del presente, in ogni tempo. Ciò
che crea questa percezione falsata è appunto -paradossalmente-
l'aumentato grado di coscienza raggiunto su questioni fondamentali,
come la condanna della violenza o il rispetto della dignità umana,
che assumono oggi i tratti di valori consolidati e vastamente
condivisi, quanto meno presenti in grado maggiore rispetto al
passato.
Ciò
avviene non per meriti da ascrivere antropologicamente alle nuove
generazioni, bensì per effetto di un inesorabile meccanismo storico:
il tempo incede sempre verso l'allargamento dei diritti umani e
sociali, seguito non casualmente da un miglioramento del tenore medio
di vita, delle condizioni di salute, della longevità. Questo, però,
solo a patto che si viva in un contesto sociale regolato dal diritto.
Ecco
perché la questione del limite da apporre alla rappresentazione
del reale va a toccare in maniera inevitabile, ma anche ineludibile,
il tema della democrazia. Ora, come spesso accade, un fenomeno
o un concetto sono più facilmente osservabili se si prova a
ribaltare il punto di osservazione. Così, per capire con precisione
cos'è la democrazia, è bene partire dall'osservazione del suo
opposto: da ciò che non è democrazia o dalla sua mancanza, dalla
dittatura.
Nei
paesi assoggettati da forme di controllo dittatoriale, sono assenti
-almeno ufficialmente- le piaghe che assillano i paesi democratici (i
quali però, secondo la "neo-lingua" di regime ed a seconda della
gradazione cromatica della dittatura, diventano paesi e popoli di infedeli, materialisti,
imperialisti, capitalisti, consumisti,
cosmopoliti, quest'ultimo inteso come grave insulto).
Insomma,
un paradiso, per i nostalgici di un tempo dorato e gentile, collocato
idealmente nel proprio passato, ma che in realtà non è mai esistito concretamente.
D'altronde, nel "paradiso" delle dittature non esiste disoccupazione, mentre per
contro è praticamente risibile la percentuale dei crimini, dal furto
all'omicidio. Non ci sono i senzatetto, né la droga né l'alcolismo.
Inoltre, non esiste prostituzione e non esiste pornografia, perché
non sono ammissibili i crimini verso la morale o verso il
pudore. Anche perché la cronaca nera è un'invenzione ancora ignota
ed ai mass media non è concessa la funzione di critica (ovviamente,
la satira è un concetto assente anche sul piano cognitivo).
Non
sono un caso le epurazioni di massa operate da Erdogan in Turchia presso gli intellettuali ed i giornalisti, oltre che presso gli
oppositori politici. Né è un caso che tutti i regimi dittatoriali
siano animati da una azione moralizzatrice verso la
nazione.
Tornando
ai mali "domestici" delle nostre società democratiche, combattere per un
migliore equilibrio delle condizioni sociali ed economiche è lecito,
meritorio e finanche doveroso, oggi come in ogni tempo, così come lo è
soffrire per le dimostrazioni di ingiustizia, di mancato tatto o di cattivo
gusto. Ma ciò non rappresenta un motivo valido per confondere la
natura della propria indignazione e della propria sofferenza.
Ciò
che è più difficile percepire, nel farsi dell'emozione, è che
persino sofferenza ed indignazione sono dei "diritti", peraltro
soffertamente acquisiti lungo il corso della ruota del tempo.
Sono il riflesso di una sensibilità verso il bene, la felicità e l'armonia, sensibilità prodotta non dall'innatismo umano, bensì stimolata dalla
struttura della democrazia. Quella stessa democrazia dove trovano
spazio anche il cattivo gusto o il male (questi sì, prodotti
integralmente e spontaneamente umani).
Per
superare questa condizione frustrante, basterebbe dunque trasferirsi
in uno stato moralizzatore, ovvero in una dittatura, dove però il
tempo opera in senso contrario: giorno dopo giorno si
inaridirebbe all'interno della nostra stessa persona la tensione
verso il bene, la capacità di provare indignazione, empatia verso la sofferenza altrui.
Fino a scomparire.
Qui si
potrebbe aprire una parentesi sulle motivazioni che spingono i
foreign fighters ad aderire all'Isis, in fuga dal modello
occidentale, ed all'imbarbarimento che subiscono sul piano umano a seguito di questa scelta. Ma
-concludendo- se la satira per definizione è quella forma di
comunicazione che tramite il riso mira all'osservazione critica del
potere, puntando a produrre il cambiamento, sarebbe bene che
l'indignazione provata verso la vignetta mal riuscita di “Charlie
Hebdo” permanesse nella sua sana vitalità di fronte a tutti i casi
in cui la satira -in maniera ben più subdola- rifugge dai suoi
compiti. Ecco che vengono facili alla mente i volti dei
comici-superstar nostrani, che mentre fustigano -o si atteggiano a
farlo- i politici di turno, ammiccano in telecamera al pubblico
nazionale, lasciando intendere una comunanza di pensiero, di cuore e
persino di portafoglio con il popolo. “Siamo gli indignati, siamo i
tartassati, noi e voi, dunque applauditeci” e con la stessa
facilità potrebbero tornare alla mente i casi degli stipendi folli
percepiti da Crozza o dalla Littizzetto, solo per citare un paio di
causes célèbres, il che in una società democratica ed in un
regime di libero mercato non rappresenta un fatto illegittimo, ma diciamo che quadra poco con la missione titolare della satira
e con quell'ammiccamento “parentale” lanciato dal "satiro" al popolo divertito
ed irretito.
Uno
status di VIP che accomuna a calciatori, politici ed industriali, ma
che i comici più celebri -tutti rigorosamente impegnati
politicamente- raggiungono proprio tramite un successo mediatico che
-per proporzioni e rapidità- è concesso di acquisire solo tramite
il "fuoco amico” di una satira in bon ton, che non offende il
buon gusto e che non indigna la coscienza popolare.
Paolo
Verlengia
Di seguito, alcune delle copertine storiche de "Il Male" (1977-82), tra cui i celebri "fake" in cui si produceva il giornale (qui si vedono i casi delle finte edizioni de "Il Lunedì de La Repubblica" e "Paese Sera").
Più in basso, lo scatto "Fate Presto" di Andy Warhol, realizzato nel 1981 riprendendo la prima pagina de "Il Mattino" (26-11-1980)



Più in basso, lo scatto "Fate Presto" di Andy Warhol, realizzato nel 1981 riprendendo la prima pagina de "Il Mattino" (26-11-1980)




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