GENITORI,
FIGLI, FRATELLI: DRAMMATURGIA DELLA CRISI SECONDO I DALLA VIA
Finalmente a Pescara
i vincitori del Premio Scenario
Dal Nord-Est con furore. Il titolo ad effetto sarebbe quanto mai
facile e pertinente nel caso di Mio figlio era come un padre per
me, messo in scena lo scorso 10 Aprile presso lo spazio Matta di
Pescara dal sodalizio artistico e famigliare formato da Marta e Diego
Dalla Via. Ciò che colpisce e seduce in soluzione immediata è per
l’appunto la carica iconoclasta e destruente su cui poggia questa
satira impietosa rivolta al Veneto filo-secessionista, ma tramite
questo all’intera categoria della provincia italiana ed ancor prima
al provincialismo diffuso oltre ogni limite territoriale entro le
sostanze di una cultura nazionale viziata da una esiziale tendenza
allo sguardo retroverso. Il topos drammaturgicamente
sempreverde del conflitto generazionale si intreccia con la
problematica della crisi economica, innescando l’ulteriore rimando
formale al tema classico della ricaduta delle colpe sui posteri, qui
declinato dalla nobiltà del tragico alla prosaicità della cronaca
attuale; in questo schema, la scelta dei Dalla Via è netta: non si
sfiora mai il pop -la dimensione di una appartenenza al
presente tragico, in cui un formalismo protagonista vinca o ne metta
in secondo piano la tragicità- rimanendo saldamente e convintamente
nel puro postmoderno, ove al contrario un senso di posteriorità
incontrovertibile e dominante blocca la situazione scenica in un
immobilismo formale, riaggiornando senso e struttura della tragedia.
Fin qui siamo tuttavia alle considerazioni contenutistiche di Mio
figlio era come un padre per me, benché queste siano sempre,
necessariamente gravide di conseguenze sceniche, soprattutto quando
si è in presenza di una drammaturgia compiuta e consapevole come
quella realizzata dai Fratelli Dalla Via. Il dato prioritario da
registrare è che lo spettacolo riesce a veicolare trasversalmente il
suo messaggio e la sua poetica, dato confermato in ultimo dalla piena
empatia instaurata con un pubblico quanto meno geograficamente
lontano come quello di Pescara, la piazza più a sud e più lontana
da casa lungo il ricco tour di repliche che sta circuitando la
versione completa dello spettacolo. La riflessione ricopre
un’importanza particolare nel caso in questione, poiché si tratta
di un lavoro teatrale caratterizzato dalla forte cifra territoriale
sia dal punto di vista tematico che linguistico. Marta e Diego sono
bravi ed oculati nel modulare il registro dialettale sempre al di qua
di una misura piena ed effettivamente vernacolare, rinunciando al
dialogo stretto ma limitato al pubblico veneto o settentrionale; in
ogni caso, la poetica distopica del Nord imprime la sua forma in ogni
frammento dello spettacolo, inquadrando il soggetto specifico
dell’identità veneta come emblema principe all’interno di una
cornice più ampia. Ed è proprio questa la chiave che consente e
decritta ogni codificazione interna dello spettacolo, ovvero la
riconoscibilità extra-territoriale del suo messaggio, assicurata da
un riferimento di tipo quasi giornalistico e sociologico alla
situazione critica di un intero continente. Questo dato permette di
rilevare l’impegno civico che ha caratterizzato praticamente tutti
i lavori finalisti dell’ultimo Premio Scenario, anche al di fuori
della sezione appositamente dedicata (il Premio Ustica), ad indicare
l’esistenza di un nesso quasi meccanico tra engagement della
scrittura e difficoltà del periodo storico. Come sempre però, in
ambito creativo la distinzione tra qualità elevata e deteriore (o
commerciale) delle opere è questione meno limpida di quanto non
suggerisca la disinvoltura con cui le relative etichette si lasciano
apporre; nel caso di Mio figlio era come un padre per me la
qualità del lavoro va anzi ricercata nell’originalità con cui gli
argomenti sono stati trattati e trasformati in un soggetto artistico
dotato di una legittimità autonoma rispetto alle coordinate storiche
e culturali, tali da permettere un mantenimento della tensione
artistica anche in un tempo lontano dall’oggi o dalle latitudini
d’origine. In questo, trova conferma l’affermazione prepotente
del duo Dalla Via negli ultimissimi anni, cadenzata dalla successione
dei premi conseguiti: a Piccolo Mondo Alpino (Premio Kantor
2011) e Mio figlio era come un padre per me (Premio Scenario
2013) scritti a quattro mani, si sommano i riconoscimenti ai lavori
realizzati individualmente da Marta come Veneti Fair, La
Cinghiala di Jesolo o La Olga 58. I diversi titoli
–accomunati tematicamente dal riferimento territoriale- vengono a
comporre un macro-testo coerente che potremmo definire il “canone
Dalla Via”, ovvero l’insieme degli spettacoli in cui giunge
progressivamente a definizione la cifra stilistica che si fa oggi
tipizzante e distintiva di una formazione casuale e bizzarra nella
genesi, ma per nulla improvvisata. La composizione familistica
richiama l’arte del capocomicato italiano e la pratica della
compagnia di giro, che trova conferma nella formazione attorica di
Marta Dalla Via, fortemente caratterizzata dallo studio della
Commedia dell’Arte e del teatro di figura lungo l’inconsueto asse
Bologna-Parigi: diploma alla Scuola Teatrale “Galante Garrone”
nel 2001, quindi la repentina scelta di un apprendistato presso il
Cirque Baroque di Parigi per studiare tecnica clown, acrobatica aerea
e giocoleria, poi di nuovo la formazione classica (e di nuovo a
Bologna) con la laurea presso il Dams nel 2003 ed un secondo transito
parigino, accanto ad una regolarità di esperienze professionali come
attrice che culminano in riconoscimenti importanti, indirizzati in
particolare alla sua verve istrionica (“miglior interprete” al
Premio Off 2013 dello Stabile del Veneto con La Cinghiala di
Jesolo e Carlino d’Oro 2010 come “comico più originale” al
Festival del Cabaret emergente di Modena per Il Morto di
Biancosarti ). Meno ortodosso il percorso formativo di Diego
Dalla Via, laureato in Scienze della Comunicazione ma contiguo con il
teatro per via della peculiare composizione del tessuto sociale
veneto, dove abbondano i piccoli teatri e gruppi teatrali che rendono
vicini ed accessibili il linguaggio e la pratica di scena. In questo
senso, la formazione più fortemente teorica di Diego ha trovato nel
teatro un veicolo spontaneo alla creazione; ma il duo famigliare si è
formato per caso nel 2010, quando Marta chiede al fratello di
aiutarla nella scrittura di Piccolo Mondo Alpino, il cui
successo condurrà poi i due a proseguire in maniera stabile nella
collaborazione ed a celebrare la fondazione di una sorta di “ditta
famigliare”, seguendo la vocazione piccolo-imprenditoriale insita
nel DNA veneto. Eppure sarebbe una schematizzazione semplicistica
nonché erronea pensare ad una netta e letterale divisione dei ruoli,
con Diego addetto all’elaborazione tematico-testuale e Marta dedita
alla spettacolarizzazione scenica, come nella formula di una dualità
perfetta tra l’intellettuale e la soubrette. Mio figlio era come
un padre per me rappresenta la migliore smentita a riguardo,
tramite un lavoro che comunica un totale equilibrio interno tra gli
interpreti ed una scrittura che dimostra in ogni istante di esser
stata scritta in progress, provando e lavorando in scena. Il
trattenimento del virtuosismo scenico da parte di Marta (contenuta a
lungo dentro una compostissima postura incastonata nel costumino
variopinto da nuoto sincronizzato e nella pelliccia candida di
inusitati quanto contraddittori stivaloni da neve) accompagna
maieuticamente la performance energica e pienamente co-protagonistica
di Diego, la cui posa obliqua per contro richiama in alcuni frangenti
le evoluzioni caracollanti di Jonny Depp ne I Pirati dei Caraibi.
La maturità scenica e drammaturgica di entrambi i Dalla Via, trova
conferma ultima nel “doppio finale” della serata di Pescara,
quando Diego si concede a richiesta nella performance fuori programma
di Fattore P, il suo pirotecnico monologo nuovamente ispirato
alla crasi tra satira padano-veneta ed analisi della situazione
politica nazionale, il tutto montato equilibristicamente
sull’incastro di sole parole inizianti per la lettera “p”. P
come Padania naturalmente, ma anche come polenta, vera icona verbale
della drammaturgia targata Fratelli Dalla Via, che in Mio padre
era come un figlio per me trova combinazione agrodolce con i
boeri, strumento scenico e drammaturgico geniale per la
rappresentazione del rapporto seriale oltre che compulsivo con il
cibo, in un occidente colto in una crisi comportamentale tutt’altro
che nuova, prima che meramente economica ed attuale. Allo stesso
modo, va sottolineato il percorso drammaturgico di Marta, come
completamento artistico testardamente voluto dopo i successi e le
conferme ottenuti come attrice: da segnalare in questo senso la
selezione della sua penna da parte di un drammaturgo come Stefano
Massini (Premio Ubu 2013, per la sua trilogia sul caso Lehman
Brothers) presso la Residenza IDRA di Brescia e la conseguente
vittoria del Premio Urgenze 2012 per il testo Interpretazione dei
Sogni, successivo al premio Menabò ottenuto nel 2008 per La
Olga 58, in un concorso dedicato alla drammaturgia d’impegno
civile tramite il riferimento ai casi di cronaca. Circa infine Mio
figlio era come un padre per me va doverosamente rilevato che a
fianco dell’intelligenza compositiva e della carica iconoclasta
domina il tratto brillante, benché giocato in chiave “gotica”,
per una complessiva poetica del ribaltamento di cui già informa il
titolo dello spettacolo. La comicità del dialogo serratissimo,
unitamente ad un sentore nichilista ormai non più originalissimo,
catalizza anzi buona parte del consenso del pubblico, ma è in realtà
una maschera che isola sullo sfondo il cuore più intimo dello
spettacolo, ovvero la poetica del fallimento come doverosa assunzione
individuale di responsabilità rispetto allo status quo: è
l’alone di condivisa normalità rispetto ad un sistema fallimentare
nei suoi comportamenti più elementari che rende necessaria la
propria auto-distruzione come segnale intelligibile di disagio oltre
che dissenso.
P.V.
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