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COMICO, TRAGICO O GROTTESCO? SEMPLICEMENTE SHOW
Con “Primi passi sulla Luna”, Andrea Cosentino apre fragorosamente la stagione di Florian Teatro
Partenza accelerata per la nuova stagione del Florian, che vara l’annata teatrale 2014-15 con il ritorno in Abruzzo di Andrea Cosentino, artista di pura origine nostrana da lungo tempo assente dai territori d’origine. Il peregrinare tipico del mestiere d’attore ha infatti condotto Cosentino ad affermarsi progressivamente nei circuiti off dell’intero territorio nazionale ed in particolare in quelli della scena capitolina, fino a condurre spesso con sintesi giornalistica ad una sua affiliazione automatica nella categoria della cosiddetta “nuova drammaturgia romana”, quella vicina eppure alternativa agli eredi del teatro di narrazione. Tuttavia la verbalità scenica che fa quasi da corpo agli spettacoli di Cosentino non manca mai di rimandare con dati precisi al suo effettivo percorso biografico ed artistico, dalle sue origini abruzzesi alle frequentazioni eterogenee della sua formazione, che lui stesso al contempo mistifica gustosamente tramite il pastiche regionale e fonetico confuso sul palcoscenico dai suoi tanti personaggi o macchiette, talvolta persino cloni dello stesso Andrea Cosentino. Il tutto però sempre condito in salsa rigorosamente parodica, autoironica e smitizzata. Anche ieri immancabilmente lo stile cosentiniano ormai tipico -riconoscibile ed irreplicabile- ha tenuto fede alle attese del pubblico pescarese, accorso numeroso per assistere a Primi Passi sulla Luna, spettacolo giunto finalmente nel nostro territorio dopo anni dal suo esordio.
Al di là dell’occasione specifica si respirava desiderio, quasi “fame” di teatro dopo la lunga pausa estiva, bisogno della dimensione specifica della fruizione teatrale, nei suoi limiti di “marginalità” e nelle sue prerogative esclusive di intimità, che Cosentino sa esaltare grazie al tono confidenziale del suo linguaggio artistico. “Marginalità” è un termine ricorrente nel lessico esegetico di Cosentino, quello che cioè lui utilizza quando è forzosamente chiamato in sede critica ad analizzare sul piano teoretico i suoi spettacoli ed a spiegarne le motivazioni; ma è lo stesso lessico che poi fa breccia tra le crepe autoinflitte alla struttura volutamente fallace, “inadeguata” (si direbbe, sempre mutuando da quel lessico) degli spettacoli di Cosentino, da cui l’artista lascia immancabilmente filtrare nel suo baraccone scabro -fatto di scatole, parrucche, bambole e cappelli sghembi- la luce o l’ombra di divagazioni filosofiche e citazioni colte, pur facendone immediato oggetto di scherno, anzi creta materica per creare nuovi pupazzi, questa volta organici, deformati ed infilzati alla stregua di feticci da immolare al puro spirito dello show. E’ il caso quanto mai esemplare del personaggio del critico d’arte che compare nei quadri iniziali di Primi Passi sulla Luna, dipinto con copiosità barocca a colpi di tic fisici e verbali secondo i canoni dello stereotipo e della caricatura, giammai del ritratto naturalistico, il che tuttavia schiude un varco alla linea più caratteristica di questo spettacolo specifico, quella ovvero del dialogo diretto tra Cosentino ed il pubblico presente in sala.
Primi Passi sulla Luna, come presagito larvatamente nel titolo, contiene una forma di “esplorazione” artistica, un esperimento giocato in bilico tra forma ed improvvisazione, una sorta di jazz verbale in cui il monologo predefinito si espone al rischio calcolato di eccedere o di cedere alla mercé del caso, comunque di fallire la partitura originaria pur di tramutarsi in dialogo -effettivo e confessionale- non già con il pubblico tutto, inteso come entità o insieme indistinto di chi è al di là della ribalta, mimetizzato nel buio di sala, bensì con le individualità e con le persone dei singoli spettatori. Si può facilmente rimarcare che in era di teatro “post-drammatico” questa forma di cortocircuito non rappresenti una reale novità, né per la categoria concettuale dello spettacolo contemporaneo, né per lo stesso Cosentino, la cui produzione precedente ha già pervicacemente puntato sulla inconsistenza malleabile di un copione solo teorico, vagheggiato, non ancora scritto o scritto come palinsesto provvisorio. Stesso dicasi per gli altri ingredienti portanti del “canone Cosentino”, tutti puntualmente presenti all’appello anche in Primi Passi sulla Luna, come la copresenza basculante di tragico e comico, serio e faceto, e poi i repentini squarci meta-teatrali ed una spruzzata di sapido autobiografismo.
Eppure in questo spettacolo c’è qualcosa di inedito, e se non si può parlare di novità in senso assoluto abbiamo sicuramente a che fare con un grado diverso di focalizzazione. Più vicino, senza dubbio, come si addice evidentemente ad uno spettacolo “postumo”. La bizzarra definizione campeggia in locandina all’interno di un dovizioso sottotitolo, ed in ogni caso ritrova menzione diretta nel corso dello spettacolo in uno dei consueti momenti meta-teatrali in cui Cosentino ferma l’azione, o meglio la sola rappresentazione: allora, ad agire e vibrare è appunto il dialogo senza diaframmi con gli spettatori, in cui i singoli trucchi ed elementi della messinscena vengono aperti, smontati e rivelati. Se già in Angelica e nell’Asino Albino il baraccone di orpelli posticci si apriva ad una riflessione sulla morte nell’era dell’immagine e sul trascorrere del tempo, qui il filo della meditazione prosegue con i capitoli della paternità e soprattutto della verità apparente, come quella traslucida e raggelante di una malattia vista nel controluce di una radiografia. O come quella storica dell’allunaggio di Armstrong, che la spettacolarità del mondovisione televisivo parifica alla finzione dello spettacolo ed al racconto da bar. Ed è proprio il primato della finzione che Cosentino celebra con una compattezza nuova in Primi Passi sulla Luna, dove il dubbio vissuto per le sorti di una vita fragile possiede una tragicità reale e durevole oltre ogni lieto fine, ma non può essere che passaggio effimero nella temporalità dello show: qui personaggi e bambole governano i limiti del dicibile con autorevolezza maggiore rispetto ad ogni maschera nuda e ad ogni persona.
E così, non era un trucco convenzionale per rompere il ghiaccio, bensì la voce intima della ragione a parlare dalla prima strampalata macchietta della gran parata cosentiniana, il viterbese con in testa un archetto da luna park, sormontato da due pon pon rosa che ballonzolano su molle metalliche: ad evocare la dimensione dello spettacolo basta un corpo posto su di un palco di legno con indosso un oggetto inconsueto. Dunque, sotto la tenda immaginifica dello spettacolo la verità non entra, e se c’entra si presta al lazzo ed all’ammiccamento del clown. Ma solo finché dura lo spettacolo. Forse.
Paolo Verlengia
Andrea Cosentino, “PRIMI PASSI SULLA LUNA. Divagazioni provvisorie per uno spettacolo postumo” – 24/25 Ottobre 2014, FLORIAN ESPACE, Pescara


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