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L’osservatorio sul presente di Fabrizio Arcuri
L’Accademia degli Artefatti al Florian, con un lavoro del drammaturgo inglese Tim Crouch su Shakespeare
Per molti dei loro spettatori sembra ieri, eppure è trascorsa una intera epoca storica. L’Accademia degli Artefatti nasce nei primissimi anni ‘90, all’indomani della caduta del muro di Berlino, imponendosi come brillante nuova formazione capace di produrre allestimenti barocchi ed arditi per ricchezza visuale, in dialogo diretto con il sentimento di novità esplosiva che caratterizzava quella precisa fase della storia occidentale. La quantità e soprattutto la qualità del tempo intercorso da allora è ben resa attraverso l’evoluzione compiuta dalla compagnia, lungo un percorso cadenzato dai ritmi di una prolificità massiva, accompagnata da un arricchimento progressivo della formazione per numero di componenti e diversa estrazione artistica degli stessi (un nome per tutti, Francesca Mazza, mitica protagonista del teatro di ricerca italiano, dal sodalizio artistico con Leo De Berardinis alla collaborazione ormai regolare con gli Artefatti), attorno al riferimento centrale assicurato dalla figura di Fabrizio Arcuri, pluripremiato regista e fondatore del gruppo. Al contempo, il linguaggio della compagnia è venuto a convergere sempre più verso i toni sobri della semplificazione scenica, mirando ad una ricerca focalizzata maggiormente sulla relazione quanto più immediata tra attore e pubblico. Questa fase di maturazione è coincisa con una meritoria opera di valorizzazione della drammaturgia contemporanea internazionale, tramite cui gli Artefatti hanno permesso al pubblico nostrano di conoscere autori stranieri già ampiamente affermati in patria ma ancora inediti in Italia, in termini editoriali oltre che di messinscena. E’ il caso di figure come Martin Crimp, Mark Ravenhill, oggi colonne imprescindibili della scena inglese (tradotti per Editoria&Spettacolo da Pieraldo Girotto, attore storico degli Artefatti), come anche di Dennis Kelly o dello scozzese David Greig.
Appartiene a questo elenco anche Tim Crouch, autore di Io Fiordipisello, messo in scena da Fabrizio Arcuri presso il Florian Espace nel corso di una ricchissima stagione autunnale dello stabile pescarese. In scena, un folgorante Matteo Angius nei panni di uno spiritello shakespeariano piuttosto trascurato dal suo autore, risarcito in unica soluzione dopo secoli di oblio. Il testo fa parte della pentalogia I Shakespeare, in cui Crouch ha immaginato di dar voce ai personaggi minori del canone shakespeariano, spesso abbandonati ad un destino a dir poco infausto come Cinna in Giulio Cesare, Banquo in Macbeth, Malvolio nella Dodicesima Notte o Calibano nella Tempesta. Fiordipisello rappresenta forse il caso più originale della serie, visto che in Sogno di una notte di mezza estate compare fugacemente solo per due volte (nella scena prima del terzo e del quarto atto), limitandosi a dire il suo nome ed a rispondere presente all’appello di Titania, la regina delle fate e dunque sua padrona. In questa marginalità testuale ribolle dunque il materiale compresso di una frustrazione, che è quella solo ideale del personaggio shakespeariano, ma principalmente quella effettivamente esperita dagli attori che nel corso dei secoli devono aver subito l’attribuzione di questo “non-ruolo” come un’onta, una punizione o una mutilazione artistica. Tim Crouch infonde dunque in questo esperimento drammaturgico tutto il suo istinto di attore prima che di autore, ruolo cui giunse piuttosto casualmente solo in un secondo momento della carriera. Ed anche la sua drammaturgia rimane nello statuto di una strumentazione attorica all’interno di un processo di autarchia artistica: Crouch-autore scrive per il Crouch-attore, il quale è il protagonista fisso dei suoi testi. Questa funzione riflessiva della drammaturgia risalta fortemente in quell’io che caratterizza il titolo della pentalogia I Shakespeare e dei singoli monologhi che la compongono (Io Calibano, Io Banquo etc. ), che si adotti la versione originale o quella tradotta. Il punto tocca di certo le corde di un interesse che nel caso degli Artefatti parte da lontano, all’interno di una ricerca focalizzata sul ripensamento dei ruoli funzionali del teatro: autore, attore, personaggio, spettatore o pubblico. E’ quanto Fabrizio Arcuri indica con il termine legittimità, intendendo una necessità di rinegoziare i singoli ruoli della comunicazione teatrale, che ogni epoca ha il compito di riaggiornare per addivenire ad una propria forma di teatro, inserito organicamente nell’oggi quale strumento critico. Si tratta dunque di una riflessione in cui il dettaglio concettuale o stilistico non è che l’ingranaggio di un più ampio discorso di valore politico sul teatro (non a caso il progetto I Shakespeare viene condotto in parallelo con la trilogia intitolata Capitolo di un Discorso Politico, composto dalla messinscena di drammi di Fassbinder, Brecht e Greig, che fa seguito a sua volta alla leggendaria Trilogia sul niente, quella del glorioso ciclo di Mark Ravenhill con i suoi 17 drammi-spot, che sono valsi il premio Ubu come migliore attrice protagonista a Francesca Mazza nel 2010 ed il premio Hystrio per la regia a Fabrizio Arcuri nel 2011). Si tratta di un aspetto piuttosto tipico della produzione degli Artefatti, per cui la complessità del palinsesto teorico si combina con una chiave sorprendentemente lieve in termini scenici; così in Io Fiordipisello la problematica della legittimità si traduce in uno spettacolo dalla veste estremamente informale ed intrattenitiva. Matteo Angius dà fondo alle sue doti di performer e comunicatore formidabile, sulla base di un vero e proprio canovaccio da riempire tramite improvvisazioni innescate ogni volta dall’interazione chimica con il pubblico presente nella singola serata. Questa decomposizione della sintesi che di norma costituisce il linguaggio teatrale, è visualizzata massimamente tramite la presenza fisica del regista, collocato a margine della scena con la sua postazione tecnica dotata di mixer, computer e copione, rispetto al quale egli sorveglia le mosse o le parole utilizzate di Angius/Fiordipisello. Il regista in scena è doverosamente incarnato da Fabrizio Arcuri, per una citazione endo-teatrale montata su di un meccanismo meta-teatrale, ad innescare un triangolo di forze equidistanti tra Brecht, Pirandello e Kantor. Proprio come un canovaccio, il testo prevede l’ossatura schematica delle situazioni, ove le infrazioni e gli abusi perpetrati dalla guitteria dell’attore servono da pretesto per l’intervento censorio del regista, benché dissimulato entro i toni sommessi di una divertita complicità, che coinvolge partecipativamente anche il pubblico. Si va da piccoli commenti alle azioni dell’attore fino alle vere e proprie irruzioni sul palco, come quando il regista reimpone la legge del copione lasciando Fiordipisello in calzamaglia o svegliandolo violentemente più tardi con una cascata ispida di sterpaglie.
La partecipazione del regista all’evento spettacolare è codificata sul piano della costumistica tramite gli improbabili stivaloni di gomma che caratterizzano anche lo sgargiante abbigliamento Fiordipisello, nonché un elmetto da minatore con tanto dei torcia elettrica sulla sommità, che disturba lo sguardo dello spettatore quando il regista con finta casualità dirige il suo sguardo in platea. Tuttavia ogni singolo effetto ha il pregio della brevità, presto interrotto dal sormontare di un nuovo stimolo proveniente dal piano antagonista, che costituisce poi la chiave registica di una performance costruita sulla copresenza di più livelli intermittenti ed artatamente interferenti, benché agiti sulla base libera dell’improvvisazione. Il terzo livello o piano della semiosi teatrale è dato dallo schermo posto in fondo alla scena, sorta di intelligenza impersonale su cui vengono proiettate le parole chiave che cadenzano i momenti strutturali della performance, ancorando alla terraferma del canovaccio i flutti del numero all’impronta. Eppure tale ludica anarchia fa da cornice ad un percorso in cui ogni momento è pretesto per raccontare con chiarezza i singoli snodi della complessa trama di Sogno di una notte di mezza estate (i filtri d’amore, le due schiere di personaggi reali e fatati, e poi i chiassosi attori dilettanti, il bosco incantato e l’intrico di amori incrociati da sciogliere prima dell’alba). Per Crouch I Shakespeare nasceva non a caso come lavoro didattico (inizialmente in forma di trilogia) commissionato dal Brighton Festival per far conoscere o stimolare la curiosità sul teatro di Shakespeare nel pubblico degli adolescenti.
L’Accademia degli Artefatti realizza con I Shakespeare il secondo tempo del proprio confronto con la drammaturgia di Tim Crouch, sperimentata già nel 2007 con la messinscena dei primissimi due testi prodotti dall’autore inglese, My Arm e An Oak Tree, ultima dimostrazione in ordine cronologico di una metodologia di lavoro rigorosa, che predilige la cura di progetti pluriennali. Tutti pronti per il prossimo esperimento di contemporaneità?
Io Fiordipisello di Tim Crouch, con M. Angius e F. Arcuri - 07 Novembre 2013 - Florian Espace, Pescara.

Paolo Verlengia

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