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SERENA DI GREGORIO IN "CINQUE AGOSTO"

L'attrice abruzzese scava con pazienza nella memoria degli anziani del nostro territorio. Ne esce un lavoro candido ma rigoroso, fatto di storie da ascoltare eppure tutto da vedere senza perdere un solo gesto. Così, ogni traccia particolare trasmuta nella dimensione universale, lì dove ciascuno si misura con il sapore ed il senso del tempo

di Paolo Verlengia

Perché vederlo? La risposta più immediata sarebbe in realtà una contro-domanda: perché perderselo?
Cinque Agosto è uno spettacolo dalla capacità aggregante, in grado di parlare a tutte le tipologie di pubblico, agli spettatori abituali del teatro come a chi di norma familiarizza poco con l’ambiente e con il linguaggio teatrale, ai giovanissimi come ai mediamente giovani o a coloro che giovani sono stati, per via di un soggetto con cui Serena di Gregorio ha inteso approfondire il tema della memoria, importante per la sua persona prima che per la sua professione. Ma la memoria rievocata in Cinque Agosto non ha i toni seriosi del documento storico né le forme rigide del teatro di narrazione. Per contro dà spettacolo di sé attraverso la storia di una festa dal candore popolare e fiabesco, dedicata al miracolo che la tradizione locale suole attribuire alla Madonna, per via di una leggendaria nevicata estiva che avrebbe salvato dalla siccità una comunità evidentemente ancora agreste in un passato imprecisato, perduto nella zona immemore del racconto tramandato di persona in persona come mito unificante ed identitario.  
Perché vederlo? Perché come accade solo quando il teatro è vero teatro, la brillantezza di un testo non si impone nella dimensione della lettura o della meditazione, ma si fa spettacolo tutto per gli occhi, senza con ciò perdere nulla in quanto a profondità di contenuti. La scrittura di Serena Di Gregorio guadagna i primi carati di purezza artistica proprio nel condensare i racconti da lei setacciati personalmente sul territorio, trasformandoli in oggetti visibili, sia sotto forma di elementi di scena che di emblemi verbali. Lungo i cinquanta minuti dello spettacolo, Serena compone quasi da ferma una gestografia continua, dove praticamente ogni parola trova la sua codificazione corporea come in una danza orientale, per una performance di enorme dispendio energetico benché dissimulata dietro una veste folk spumeggiante ed una fissità scenica solo apparente, ma che in realtà assomiglia ad un rigoroso numero di equilibrismo.  
Perché vederlo? Perché raramente si incontra tanta qualità in un’unica soluzione, anche per chi frequenta con regolarità i teatri del circuito ufficiale. L’effettistica attorica prodotta da Serena Di Gregorio si fonde con quella del congegno scenografico realizzato assieme ad un artista visuale come Paride Petrei, secondo il modello di un carillon di ricordi che però non dimentica mai la sua funzionalità di scena. Movimenti e sonorità dell’attrice si intrecciano quasi magicamente con le “animazioni” di una scenografia illusionistica che in momenti circoscritti vive e respira, cadenzando l’impaginazione di una storia che dietro il pretesto della festa fa rivivere una intera pagina di storia nazionale, dal dopoguerra all’industrializzazione.
Ma soprattutto non va dimenticato un dato assolutamente fondamentale per cui è assolutamente consigliabile la visione di Cinque Agosto: si ride moltissimo, di cuore, e ci si emoziona al contempo. Le mirabilia già commentate fanno da pura strumentazione di fondo mirate a questo unico effetto, quasi nascondendosi e mimetizzandosi tra buio e luce. Eppure è solo grazie ad una maestria profondissima che il racconto nazional-popolare riesce a sfuggire dalle sacche automatiche della retorica. Allo stesso modo è solo per via di momenti di artisticità autentica che nella seconda parte dello spettacolo l’emozione riesce a vincere le ultime resistenze anche negli spettatori più scafati.
Si produce allora quell’alchimia rara per cui ciò che rimane e si porta con sé a fine serata -in fondo alle reazioni più immediate- è una forma più raccolta di vibrazione, quella sorta di muta commozione che solo sa toccare -in un lavoro artistico- non l’esibizione né il tema, ma la cura infinitesimale del dettaglio minimo, come quella mostrata in Cinque Agosto da Serena Di Gregorio, iniettata sottopelle tramite il rito dello spettacolo dal vivo.

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