“INVERNO”
DI JON FOSSE, PER LA REGIA DI VINCENZO MANNA
Andato
in scena il 21 e il 22 Gennaio 2017 al Florian Espace, Pescara
Inverno
di Jon Fosse è uno di quei titoli che si fissano nella mente, per
una innegabile efficacia di tipo eufonico, ma anche per il successo
con cui è riuscito a bagnare il suo debutto in Italia nel 2004
(Premio Ubu all'allestimento di Walter Malosti, per la Migliore
Novità Straniera). Vincenzo Manna inizia ad approcciarsi al testo di
Fosse circa dieci anni più tardi, intrigato principalmente dalle
possibilità che si nascondono tra le maglie ambigue della scrittura
dell'autore norvegese. Il celebre “non-detto” che
caratterizza tanta drammaturgia dal secondo Novecento in poi, è
totalmente imperante in Fosse, il quale anche visivamente
distribuisce con ricercata parsimonia le parole, come se si trattasse
di versi poetici, in maniera simile alle pagine dei drammi di Thomas
Bernhard, ma con una economia verbale ben lontana dalla vivacità
stilistica dell'austriaco.
Dalla
prospettiva del regista, questa caratteristica di vuoto diventa
principalmente possibilità di “apertura”,
nell'interpretare la lettura del testo e nell'amministrare il lavoro
con gli attori. Le attrici, per essere corretti: Manna parte proprio
dalla seduzione verso il segno dell'ambiguità, intesa in senso
letterale, che viene concessa proprio da quella caratteristica di
apertura del testo, ma che invece risulta depotenziata da un plot
piuttosto consunto (lui rispettabile marito e padre di famiglia,
forse inappagato da una routine che non conosce scuotimenti, lei
giovane ed esuberante enteuneuse, resa cinica dalla sua
condizione sociale, ma ancora in grado di slanci impercettibili ed
incoffessabili).
Lo
spazio immaginato da Fosse prevede l'abbinamento di due “non-luoghi”
(un parco ed una stanza d'albergo), su cui frammentare dialoghi
rispondenti a diverse sequenze temporali. Vincenzo Manna decide per
la sottrazione, forse per dare una dimora più consona alla
consistenza scarna delle battute: sullo spazio scenico completamente
vuoto, Flaminia Cuzzoli si agita malferma senza peraltro mai
disegnare la traiettoria di un movimento pieno ed Anna Paola
Vellaccio mantiene solo a fatica la compostezza della sua posizione.
Questa
per lo meno è la fotografia iniziale di un gioco di forze interno a
questa “non-coppia” che vedrà virare dall'una donna
all'altra la posizione dominante, mentre la staticità fisica
dell'azione viene colmata dal viaggio interiore che porterà ognuna a
vincere differenti strati di resistenza. Manna sembra tuttavia più
intenzionato a carpire i tratti essenziali sepolti sul fondo della
scrittura di Jon Fosse per trasporli sotto forma di segni teatrali
osservabili, come in un'opera di traduzione tra linguaggi
semiotici, distinti ma paralleli. Così, l'economicità verbale
dell'autore norvegese si sostanzia nello spartito di un piano di
regia minimale sotto ogni punto di vista.
La
luce bianca irradia spietatamente la totalità del nudo
palcoscenico, che come una casa vuota fa risuonare di solitudine e
precarietà ogni fruscio e balbettio, ma il linguaggio
illuminotecnico va ad inglobare ogni rumore di scena che possa
fare da corredo alle parole ed alla loro misera insufficienza: è un
esempio il rosso che avvolge di colpo la scena come spia di una
intromissione tra i due personaggi, ma è anche un atto deliberato di
soffocamento, ovvero una resa registica, tutta sensoriale di
quel non-detto in cui il testo fa macerare le sue molecole
drammatiche.
Qualcosa
di simile avviene con la luce più tenue e delimitata che scende tra
le singole scene come un panorama notturno in cui avvengano mutazioni
oniriche, contiguo con il mondo razionale ma alieno alla logica. Qui
le due attrici vengono come liberate dalla prigione angusta della
comunicazione verbale, riuscendo finalmente a confessare il peso di
fardelli altrimenti inenarrabili; i corpi esanimi vengono ora
sorretti, ora “plagiati” in pose indecenti, ad irridere -in un
ulteriore atto di soffocamento- un dolore che non ha più diritto di
piangere né di essere.
La
tracklist musicale studiata da Manna tocca nell'arco stretto
dei piccoli intermezzi le corde di una emotività sintetica,
trattenuta ma melodica, proiettando sulla vicenda i colori di una
post-modernità più sincera che perduta.
Paolo
Verlengia
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“INVERNO”
con
Anna Paola Vellaccio e Flaminia Cuzzoli
regia:
Vincenzo Manna
Testo:
Jon Fosse
traduzione
Graziella Perin
progetto:
Vincenzo Manna e Anna Paola Vellaccio
assistente
alla regia Andrea Vellotti
disegno
luci Javier Delle Monache
costumi
e oggetti di scena Cassepipe Compagnia
produzione Florian Metateatro, in collaborazione con ATCL e RIC-Festival 2014
produzione Florian Metateatro, in collaborazione con ATCL e RIC-Festival 2014
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