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UNA, MOLTE E NESSUNA: LA JACKIE KENNEDY DI ANDREA ADRIATICO
Teatri di Vita tornano sulla drammaturgia del Premio Nobel Efriede Jelinek
La compagnia bolognese Teatri di Vita conferma una volta di più la sua predilezione per la drammaturgia contemporanea, con una attenzione particolare verso gli autori complessi, controversi, impegnati nella riflessione sul presente. E' la volta questa di Elfriede Jelinek, interessantissima drammaturga austriaca, Nobel per la Letteratura 2004, alla quale Teatri di Vita ha dedicato ben tre messinscene nell'ultima stagione. Intercorre dunque una conoscenza approfondita tra compagnia e linguaggio dell'autrice, tale da permettere a regista ed interpreti di prodursi in scelte di scena propositive e stilisticamente coraggiose. E' questa l'impressione prima che si ricava dalla visione di Jackie e le Altre, una familiarità fra testo e scena che si materializza nelle forme di un equilibrio sottile tra un monologo verboso e compatto ed una messinscena stilosa e creativa. Il regista Andrea Adriatico -fedele ad una precisa linea di lavoro- decide di rendere integralmente il corposo testo che la Jelinek scrive per sola voce, ma allo stesso tempo lo riplasma lungo le maglie di una performance corale in cui si alternano con studiata alchimia Anna Amadori, Olga Durano, Eva Robin's e Selvaggia Tegon. Le quattro attrici sfilano e posano, prestando quattro timbri vocali e quattro figure corporee diversissimi al personaggio di Jackie Kennedy, che Elfriede Jelinek immagina impegnata in una sorta di confessione postuma giocata sulle corde di un galateo dell'immagine lucido e machiavellico. La moltiplicazione fisica ha buon gioco nel rendere l'eroina sotto le forme algide di una entità mitica, in virtù di un procedimento paradossale per cui il superamento dell'individualità produce l'effetto di una figura incorporea ed assente. Come quando, prima dell'ingresso delle attrici, la scena deserta viene riempita dalla voce originale di Jackie Kennedy, tratta da una rara intervista; per contro, la metà dello spettacolo è cadenzata da un momento di coinvolgimento del pubblico in cui la figura di Jackie viene ulteriormente replicata, rigenerata ed allontanata dall'originale, similmente alle versioni pop della Marylin di Wahrol. Marylin appunto, ma andiamo per gradi .
Più che moltiplicarsi la Jackie di Andrea Adriatico sembra sottoporsi ad una operazione di dissezione e scomposizione, e la sua voce -ora fresca, ora grave- pare provenire dal vuoto di un palcoscenico criptico, simile ad un ambiente disegnato da David Lynch, dove ogni tono di luce o di colore rimarca un buio sensoriale oltre che semantico. Il nero della scena viene bucato dal candore ipnotico di quattro cubi, che ospiteranno le attrici come totemici piedistalli; il fondale sulla destra diviene un parallelepipedo aggettante che inquadra uno schermo, dove vengono ospitate le videoproiezioni. Sin dall'inizio viene a costruirsi una atmosfera rituale e quasi solenne, in cui l'arguzia sottile che innerva la scrittura di Elfriede Jelinek non permette mai il riso pieno. Né fanno ridere le parrucche o le pose marionettistiche, e persino i momenti di discesa in platea per una volta non cedono alla distensione ridanciana. Tutto risulta trattenuto e concentrato sull'istante attuale, quasi come in un racconto di suspence ma in mancanza di narrazione qualsivoglia. Ciò che dipana questo effetto raccolto è in realtà la filosofia di fondo della Jackie disegnata dalla Jelinek e che la messinscena riesce a carpire in essenza, quella capacità di risaltare attraverso la sottrazione, quell'amara saggezza dello stare al mondo da icona assoluta del sistema occidentale. E' su questo punto -non già una volgare gelosia da tinello o una banale rivalità femminile- che si sviluppa il duello concettuale tra Jackie e Marylin: oscurità e luce, minimalismo e opulenza, assenza e presenza, immagine e corpo, abito e carne. Il confronto polarizzato e totale tra le due icone anima la seconda parte dello spettacolo, dove pare di rivivere in senso simmetrico il conflitto schilleriano tra Maria Stuarda ed Elisabetta d'Inghilterra.
Partecipa bene in questa partitura attenta, fatta di tempi e dettagli minuti, una ricercata selezione musicale che fa da colonna sonora all'azione, al lordo di effetti sonori non nuovi al linguaggio di Adriatico che scuotono la scena con studiata efficacia.
                                                                                 Paolo Verlengia
Jackie e le Altre, con A. Amadori, O. Durano, E. Robin's, S. Tegon, regia A. Adriatico
Pescara, Auditorium Flaiano, 12 Novembre 2015

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