“LE NOSTRE DONNE”:
QUASI UNA NOSTALGIA
La
commedia di Eric Assous diverte e convince con il trio
“Siravo-Morgese-Salce”
Chi
ama il teatro si trova spesso a condursi alla ricerca di performances
di nicchia, talvolta ermetiche talaltra ombrose, proprio per via
della purezza di quella passione che cerca intimamente di preservare
intatta l'idea (o forse l'ideale) di un'arte elevata, più alta delle
altre. In questo modo si corre il rischio di abituarsi all'immagine
di un teatro visto come linguaggio criptato, raffinato ma perdente
rispetto alla leggibilità ostentata e spesso scomposta dei linguaggi
proliferati nelle viscere della babele tecnologica (il cinema e
soprattutto la televisione, che trovano nel web un effetto di
frazionamento ed eco ad infinito).
Torna
dunque necessaria una riflessione classica della modernità: esiste
un'arte elevata, distinta dalla produzione commerciale? E' davvero
impossibile una forma d'arte popolare, che riesca ad aggregare
quantitativamente il pubblico senza perdere in qualità?
Come
sempre, di fronte alle domande giuste ed utili non è tanto
importante fornire una risposta, quanto conservare aperto
l'interrogativo, come antidoto alla chiusura ed al pregiudizio.
Uno
spettacolo come “Le Nostre Donne” dell'autore franco-tunisino
Eric Assous sembra perfetto per affermare l'attualità del quesito.
La scena predispone tutti gli strumenti prescritti per la commedia di
scuola, precedente alle decostruzioni del Novecento, dove la parola
può ancora creare azione: un interno borghese di un bianco candido,
accessoriato con tutti i crismi (le due quinte sul fondo che
alludono alle stanze private, la quinta di proscenio che indica la
porta dell'appartamento, il tavolo e le sedie sul lato, il divano
centrale sul fondo sormontato da due ampie finestre), che in teatro
divengono strumenti plastici per assecondare la recitazione e persino
per accompagnare la formazione di un determinato tipo d'attore.
Parliamo
infatti del salotto che ha fatto da cornice alla commedia brillante
dei maestri francesi del secondo Ottocento (Scribe, Dumas, Sardou,
Faydeau) così come della gloriosa drawing-room comedy inglese
di Oscar Wilde e Noel Coward (prima di Neil Simon in America), tutti
testi che hanno permesso la crescita di almeno tre generazioni di
attori italiani attorno al modello del mitico “grand'attore”,
capace di calamitare l'attenzione del pubblico sui palcoscenici di
mezza Europa e di mezzo mondo.
Ne
“Le Nostre Donne” il salotto di scena corrisponde alla dimora di
Max, al secolo Edoardo Siravo, pienamente a suo agio nei panni di uno
scapolo impenitente, ma non per questo emancipato da una relazione
annosa quanto burrascosa con la sua Magaline. Sì perché le donne
entrano ed escono continuamente dalla scena tramite i discorsi dei
tre personaggi, tutti protagonisti alla pari di questa commedia
integralmente al maschile. I meccanismi ferrei della scrittura di
Assous permettono di reggere assieme personaggi in carne ed ossa e
presenze femminili, ora fantasmi ora illusioni, senza mai perdere
contatto con le esigenze di una trama che avvince costantemente
l'attenzione del pubblico con la sospensione del noir e la
leggerezza dello humor più trascinante. Emanuele Salce è
Paul, il personaggio più equilibrato -quanto meno all'apparenza- che
l'attore riesce a vestire coerentemente con il suo stile recitativo
garbato e signorile. Manuele Morgese è Simon, un nevrastenico
immaturo -almeno così pare- in cui l'attore partenopeo può declinare
in chiave brillante la sua inclinazione drammatica.
Ma
tutto è apparenza, come nella migliore commedia degli equivoci.
Assous ruba dalla cronaca la situazione drammatica (la violenza sulle
donne) per montare un congegno pirotecnico eminentemente teatrale,
che non teme la sua dimensione di finzione e di gioco, e che non cede
minimamente alla tentazione intellettuale. Il risultato dimostra che
un lavoro drammaturgico, quando eseguito con una maestria che
proviene dalla conoscenza diretta dei meccanismi di scena e di
platea, assolve sempre ad un compito che va oltre il semplice
divertimento, pur resistendo all'alterigia dell'arte impegnata: tutti
e tre i personaggi risultano trasformati alla fine della commedia,
come passati attraverso un processo di auto-conoscenza, oltre che
necessario al disvelamento della trama a favore del pubblico. La
precisa geometria del testo di Assous -che permette a ciascuno dei
personaggi il proprio momento di assolo, distribuito con studiato
equilibrio lungo la temporalità dell'azione- fissa le possibilità
dello spettacolo fisiologicamente al di qua delle vette del
capolavoro, ma il dato di fatto è che si esce dalla sala
rinfrancati, avvolti dal tepore di una vaga nostalgia verso un teatro
genuino e schietto come quello de “Le Nostre Donne”, compagno
ammiccante del tempo che si fugge via.
Paolo
Verlengia
Teatro
Zeta (L'Aquila), “Le Nostre Donne” di E. Assous,
regia
Livio Galassi, con Manuele Morgese, Emanuele Salce, Edoardo Siravo
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