FOCUS SUL TEATRO DI
ANDREA COSENTINO:
“Not here, Not now”
e “Telemomò”
Il teatro di Andrea
Cosentino ha un'anima sfuggente benché ormai consolidata, capace di
unire l'apicalità del gaudio con un vago sentore dolente, ma più di
tutto tende a sfuggire decisamente dalle classificazioni così come
dal semplice aggettivo, obbligando chi commenta ad arrampicarsi su
metafore pericolanti, più simili forse alle sinestesie del
sommelier. Con i suoi cromatismi ed i suoi retrogusti, il
carrozzone di Cosentino ha fatto recentemente tappa a Pescara, per
chiudere la stagione ufficiale del Florian Metateatro con un focus
dedicato interamente a lui. Un imperdibile double spalmato su
due serate in cui sono tornati in scena altrettanti cavalli di
battaglia dell'artista abruzzese: “Not here, not Now” e
“Telemomò”, rispettivamente il 12 ed il 13 maggio. Spettacoli
che nel corso degli anni non invecchiano ma che possono cambiare in
qualche dettaglio, visto il loro respiro specifico che li porge a
contatto diretto con la quotidianità e l'ordinarietà invece di
ibernarli nella fissità perfetta dell'arte. La primissima
caratteristica che si percepisce nel teatro di Andrea Cosentino è la
sua programmatica frammentarietà: l'andamento è sorretto dalla
successione di quadri e di sketch, talvolta seriali, capaci di
debordare e riemergere all'interno di più di uno spettacolo. E' il
caso di personaggi tipici, come l'occhialuto critico d'arte o il
bizzarro cittadino di Viterbo, due macchiette abbondantemente sopra e
sotto le righe: l'una stereotipata, l'altra tratteggiata con fattura
naif, entrambe utili come funzioni drammaturgiche per “slogare”
ogni resistenza logica eventualmente accumulatasi fin lì. Sì perché
-paradossalmente- tutti i personaggi di Cosentino attraversano un
binario sufficientemente lungo da intersecare bolle di verità e
d'illuminazione, pur procedendo rigorosamente per assurdo. Ma
soprattutto sono “creature” che sembrano subire il linguaggio più
che usarlo, risucchiate dentro un vortice fluviale che si invola su
spirali incontrollabili, dove le parole si auto-governano. Ecco che
allora è proprio la consistenza posticcia di queste macchiette
marionettistiche (appena abbozzate sulla traccia di connotazioni minime) a trovare un suo
baricentro originale e sorprendente: l'aspetto buffo dei personaggi
di Andrea Cosentino non gioca poi tanto come maschera coerente per le
battute sgangherate che essi pronunciano, bensì serve principalmente
a far risaltare per contrasto quanto di reale catturano nella rete a
strascico della loro logorrea. Ciò non basta ad umanizzarli, ma
rende buffi per simbiosi -o per contagio- quei comportamenti
linguistici che nella dimensione reale assumono lo statuto di
normalità.
“Tutto il mondo è teatro”, si dirà, oppure il fatto è che c'è sotto la superficie del divertissement -di cui pur si bea sinceramente- un humus di meditazione sui meccanismi della comunicazione da parte di Cosentino. “Not here, not now” è lo spettacolo che può incorniciare meglio questa indole riflessiva, ma non creiamo allarmismi: se è vero che sono rintracciabili questioni persino un po' elitarie, come l'opposizione tra teatro e performance o l'arte concettuale del ready made, queste vengono immediatamente fatte oggetto di parodia, fino al fuoco d'artificio rappresentato da una carrellata di declinazioni sul tema e sul nome di Marina Abramovic. Perché la chiave più intima del teatro di Andrea Cosentino è la dissacrazione, intesa come principio totalizzante, che infila certo le sagome caricaturali dei suoi personaggi ma passa ancor prima per uno smontaggio scientifico dell'idea di spettacolarità, se non proprio quella di spettacolo. Il mascheramento più serio -ben più forte delle parruccacce oblique, delle antenne da marziano e degli altri orpelli da festino domestico- è quello con cui Cosentino esorcizza ogni tentazione alla prova di bravura. E' qui che lo humor dominante nei suoi spettacoli si fa dolente e melanconico, perché proietta l'ombra di una timidezza fragile, forse, oppure quella di una rinuncia testarda, determinata da un senso di pura ma irreversibile posterità: il tempo del mattatore è già stato, ma anche quello dello sperimentalismo, della decostruzione, della spiritualità.
“Tutto il mondo è teatro”, si dirà, oppure il fatto è che c'è sotto la superficie del divertissement -di cui pur si bea sinceramente- un humus di meditazione sui meccanismi della comunicazione da parte di Cosentino. “Not here, not now” è lo spettacolo che può incorniciare meglio questa indole riflessiva, ma non creiamo allarmismi: se è vero che sono rintracciabili questioni persino un po' elitarie, come l'opposizione tra teatro e performance o l'arte concettuale del ready made, queste vengono immediatamente fatte oggetto di parodia, fino al fuoco d'artificio rappresentato da una carrellata di declinazioni sul tema e sul nome di Marina Abramovic. Perché la chiave più intima del teatro di Andrea Cosentino è la dissacrazione, intesa come principio totalizzante, che infila certo le sagome caricaturali dei suoi personaggi ma passa ancor prima per uno smontaggio scientifico dell'idea di spettacolarità, se non proprio quella di spettacolo. Il mascheramento più serio -ben più forte delle parruccacce oblique, delle antenne da marziano e degli altri orpelli da festino domestico- è quello con cui Cosentino esorcizza ogni tentazione alla prova di bravura. E' qui che lo humor dominante nei suoi spettacoli si fa dolente e melanconico, perché proietta l'ombra di una timidezza fragile, forse, oppure quella di una rinuncia testarda, determinata da un senso di pura ma irreversibile posterità: il tempo del mattatore è già stato, ma anche quello dello sperimentalismo, della decostruzione, della spiritualità.
La meta-teatralità
imperante nel teatro contemporaneo serve in Cosentino a bucare
continuamente l'unità dello spettacolo, perché non diventi mai
-nemmeno per un errore percettivo- nulla più che un album di
frammenti e di ipotesi teatrali: non è solo il Cosentino autore,
attore o narratore a stoppare il personaggio e ad uscirne
momentaneamente per fare delle chiose al pubblico, ma sono gli stessi
personaggi che -come gli androidi di Blade Runner- raggiungono
la consapevolezza del loro status di strumenti eterodiretti. E
naturalmente raccontano al pubblico anche questo, chi con frenesia
compulsiva, chi con prosodia strascicata, per poi proseguire come
nulla fosse nel regno della loro parola fondamentalmente meccanica ed
irresistibilmente delirante. In questo senso, “Telemomò” è lo
spettacolo che meglio si incastra con il lavoro teatrale di Cosentino
e con il suo senso, fornendogli non soltanto una forma ideale ma un vero
e proprio format, e questo non solo
perché gioca con la parodia del palinsesto televisivo:
l'inscatolamento della recitazione dietro un rettangolo
bidimensionale è la consacrazione quasi definitiva del principio di
sottrazione che presiede a tutto il teatro di Cosentino. Allo stesso
tempo, la passione per l'oggetto anti-scenico si esprime qui non a
caso con una fantasia estrema, pur senza mai compiacersi, senza mai
sfocare il tema centrale dello spettacolo: le gag a suon di
bambole -da Barbie e Big Jim agli anatroccoli di spugna- sono
spassose, ma è a dir poco fenomenale il loro utilizzo mirato a simulare di diversi
campi dell'inquadratura televisiva.
Resta anzi un lascito di
curiosità insopprimibile dopo aver assistito ad uno spettacolo così
perfettamente tarato sulla dimensione del suo artista: in che
direzione proseguirà da qui in poi il teatro di Andrea Cosentino?
Non ci resta che attendere ed assistere...
Paolo Verlengia
www.teatrionline.com
www.teatrionline.com
NOT
HERE NOT NOW
di e con Andrea Cosentino
di e con Andrea Cosentino
regia
Andrea Virgilio Franceschi
video
Tommaso Abatescianni
TELEMOMO'
di
e con Andrea Cosentino
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