VIVERE,
MORIRE, RECITARE. MA SOPRATTUTTO, ESSERE QUI E ORA
Stefano Cenci parte
da Sarah Kane per ripensare regole e senso del fare teatro oggi
Ofelia 4 e 48 di
Stefano Cenci chiude il cartellone “Flussi” 2015 di Florian
Metateatro, preparando il terreno alle proposte di una stagione
estiva che si preannuncia non meno ricca. Allo stesso tempo si tratta
dell'ultimo titolo dell'interessante ciclo “L'Europa è qui”,
dedicato alla drammaturgia internazionale, dato che lo spettacolo
parte da un lavoro su Psicosi delle 4 e 48 di Sarah Kane,
testo reso mitico dal carisma “maledetto” dell'autrice e dalle
connessioni intime con la sua prematura scomparsa. Testo ultimo e
terminale, datato 1999, con cui la più promettente drammaturga
europea sanciva in termini perentori la fine di un intero millennio
di civiltà teatrale, e non solo.
Ma chi è l'autore di
Ofelia 4 e 48 ed in quali rapporti si pone precisamente lo
spettacolo nei confronti del testo di Sarah Kane? Diciamo subito che
chi si aspettasse una pura messinscena del testo autorale si
troverebbe fuori luogo. Cenci parte d'altronde da un intento chiaro
ed inequivocabile: sottrarre Sarah Kane dal mito del maledettismo e
del tragico ad ogni costo, ed al contempo salvare la libertà dello
spettacolo dall'ombra di questa eredità quasi necessaria. In questa
specifica posizione, risiede un più complessivo
programma dell'energico regista emiliano, poco incline a criteri
filologici o ad un principio di fedeltà inteso in termini di
pedissequa esattezza; al contrario, fare teatro è inteso
principalmente come rito catartico dei partecipanti, in una comunità
che comprende trasversalmente spettatori ed attori, e tale matrice
primigenia dell'atto teatrale va difesa anche dalle sacche meno
virtuose del professionismo e del mercato. In questa medesima orbita
d'azione sono rintracciabili anche i numerosi laboratori di teatro
creativo e scrittura collettiva tenuti regolarmente da Cenci con un
universo misto di attori, studenti, amatori e curiosi di ogni
“classe”, per non menzionare la collaborazione con Armando Punzo
nella spelendida ed ormai storica realtà della Compagnia della
Fortezza, in cui il teatro riscopre una vena di mutua vitalità
attraverso la partecipazione attiva dei detenuti del carcere di
Volterra.
Ofelia
4 e 48 è dunque uno spettacolo fatto per stupire e coinvolgere
in manera inedita il pubblico teatrale, dove tutto ciò che vi è di
spontaneo e di destrutturato risponde ad una ben precisa poetica,
oltre che a scelte pienamente intenzionali. Ciò conduce fatalmente
ad un formato difficile da definire secondo categorie
tradizionali; per rispondere al quesito lanciato inizialmente,
va detto che può risultare improprio designarlo come spettacolo su
Sarah Kane o anche solo tratto dalla sua opera, ma al contempo
sarebbe erroneo negare totalmente tali riferimenti. La categoria
d'autore va intitolata pienamente a Stefano Cenci, il quale però a
sua volta rifiuta l'etichetta di regista di Ofelia 4 e 48.
Si tratta dunque di uno spettacolo senza regia?
Forse,
quanto meno in termini di firma e di autorità. Con una coerenza
tutta interna ad un procedimento per assurdo, il regista è tuttavia
ben visibile allo spettatore ed istrionicamente attivo come presenza
attorica e drammaturgica. E' la sua figura, ma soprattutto il suo
dinamismo prorompente ad aprire le “danze”, in una comunicazione
teatrale che destituisce in partenza ogni palinsesto ed ogni codice
prefissato: il sipario è già aperto su di una scena d'interno
postmoderno, che dondola tra la strumentalità di elementi
iperrealistici (un piccolo forno a micro-onde ed un solido
frigorifero) e l'eleganza sospesa di un velo via via cangiante (ora
tenda domestica, ora effimero schermo da proiezione). La versatilità
della cornice si conferma con l'evolversi dell'azione, ove si
alternano i quadri più diversi: Elisa Lolli salta dalla perfezione
di una quotidianità di facciata, dove le citazioni beckettiane si
specchiano con echi cinematografici (viene in mente la distopica
armonia dipinta in pellicole come Pleasentville o The
Truman Show), ad una disperazione grottesca e spettacolarizzata,
giocata tra torte zuccherose e bulimiche esplosioni di abbondanza,
passando per momenti di cabaret “intimista”, dove la complicità
con il pubblico viene ribaltata e riguadagnata paradossalmente
escludendo gli spettatori da un dialogo tutto interno tra attrice e
regista (o ciò che di lui resta), con incursoni repentine ed
altrettante fughe nel e dal testo di Sarah Kane. Lungo questo
tortuoso percorso -accompagnato efficacemente da un tappeto musicale
che palleggia dal melodioso al rock- il destino tragico della
drammaturga inglese viene salvato dalle secche del patetismo,
lasciandolo ascendere al piano dell'arte, dove si sovrappone con la
figura shakespeariana di Ofelia, come icona bifronte che il mito
incorpora dentro la forma dell'eroina suicida.
Nel procedimento
stratificato che sottende alla costruzione di Ofelia 4 e 48,
il rimando colto va a Kantor, soprattutto in termini di estetica
scenica, così come è necessaria la
menzione di Piscator e Brecht per le tecniche di montaggio
dello spettacolo e per quelle di smontaggio puntuale dell'illusione,
ma è altrettanto vero che nella seconda decade del terzo millennio
una simile cifra del lavoro teatrale risponda a pratiche di scena
meno ricercate sul piano della concezione teorica e piuttosto invalse
dal punto di vista pragmatico, sempre più tipiche espressioni di un
linguaggio in cui l'era attuale si riconosce e con cui riesce a
dialogare. Tuttavia, le resistenze ancora tenaci nel mondo del teatro
di produzioni ispirate a modelli conservativi e del tutto slegati
dalla semiosi contemporanea, rendono più utili e vivificanti questo
tipo di esperienze caratterizzate da indubbia freschezza,
immediatezza e colore, benché piuttosto lontane dallo scavo di un
rapporto profondo ed intimo con l'umanità degli spettatori, nonché
con la materia stessa di una spettacolarità tanto vistosamente
evocata quanto puntualmente, esclusivamente sfiorata. Ciò che Cenci
guadagna in termini di leggerezza e creatività da una prassi di
lavoro cadenzata da prove non prolungate, paga sul piano della
ricerca di segni tanto semplici quanto carichi di senso e luminosità,
ovvero proprio quel magma primigenio che alimenta il linguaggio del
teatro, ne determina il ruolo specifico in ogni tempo, che discrimina
il passaggio da mestiere teatrale ad arte e che solo una immersione
nel lavoro su se stessi può produrre, sottraendosi a calcoli
temporali o di qualsivoglia convenienza.
Fuori dalle
interpretazioni di merito, l'impressione è che il teatro di Stefano
Cenci possieda l'oggettiva capacità di avvicinare al teatro frange di pubblico nuove e diverse, incluse quelle che rimarrebbero
refrattarie al richiamo di proposte meno dotate sul piano
dell'entusiasmo e della disponibilità alla partecipazione
collettiva.
Paolo Verlengia
Stefano Cenci, “Ofelia
4 e 48” con Elisa Lolli, 23 e 24 Maggio 2015, Florian Espace -
Pescara
Commenti
Posta un commento