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IL PREMIO SCENARIO, TRA STORIA E FUTURO

a cura di Paolo Verlengia

In questo articolo sono riportati gli interventi tenuti in occasione della presentazione del volume “GENERAZIONI DEL NUOVO”, edito da Titivillus e curato da Cristina Valenti, direttore artistico del Premio Scenario e docente di Nuovo Teatro all'Università di Bologna.
L'incontro ha avuto luogo in occasione della giornata conclusiva della prima edizione Festival “Scenari Europei”, organizzato a Pescara da FLORIAN METATEATRO (18-21 settembre 2015) ed ha permesso di tracciare importanti prospettive storiche su di una realtà come il Premio Scenario, che si avvia a festeggiare trent'anni di vita.
Trent'anni che fotografano fatalmente il passaggio da un'Italia ad un'altra, attraverso il succedersi delle generazioni teatrali, con il ruolo che il teatro via via viene a rappresentare in corrispondenza con il mutare dei costumi e degli eventi.
Apre i lavori una presentazione di Giulia Basel, fondatrice e direttore artistico di Florian Metateatro, seguita da due corposi interventi di Pippo Di Marca e Cristina Valenti.

GIULIA BASEL: E' questo un incontro a cui noi del Florian teniamo molto, perché crediamo che sia sempre importante approfondire i temi che stanno intorno allo spettacolo, la vita delle compagnie e lo svolgersi del lavoro teatrale, non solo dal punto di vista artistico ma anche per ciò che riguarda la vita del teatro. Pensiamo che due persone come Cristina Valenti -Direttrice Artistica del Premio Scenario – e Pippo Di Marca -artista di riferimento dell'avanguardia teatrale italiana e fondatore di un teatro storico come il Metateatro di Roma- possano guidarci in maniera magistrale lungo questo approfondimento che intendiamo focalizzare sulla realtà del premio Scenario.
Il Florian è entrato per la prima volta nell'osservatorio critico del Premio Scenario nel 2003. Per me e per tutti noi è stata un'esperienza straordinaria, che ci ha segnato profondamente. L'entusiasmo che se ne trae e la crescita personale sono tali che da allora non abbiamo mai abbandonato Scenario, nonostante la mole di lavoro considerevole e le difficoltà di ordine pratico che questa scelta comporta.
Vorrei che Pippo Di Marca completasse con me la presentazione di questo incontro a cui -come detto- tengo particolarmente. C'è un aspetto della persona di Pippo Di Marca, al di là dei meriti artistici, che mi piace sottolineare: pur essendo un artista a tutto tondo - performer, regista, autore- ha sempre avuto una attenzione massima verso il lavoro degli altri, e verso i giovani in particolare. Si tratta d'altronde della grande apertura culturale, umana ed artistica che caratterizza tutti i partecipanti dell'Associazione Scenario, ma che non è un dato così scontato nel mondo del teatro. Ci sono infatti molti artisti, bravissimi dal punto di vista tecnico, ma che risultano chiusi nel loro mondo creativo.
Per contro, Pippo, grazie a questa sua visione, ha rappresentato con il suo Metateatro un riferimento costante per l'avanguardia non solo romana.
E' quindi con piacere che posso annunciare che da questa stagione l'attività di Pippo Di Marca s' è venuta ad unire a quella del Florian, dando vita ad un connubio artistico sotto il nome di Florian Metateatro. La parola al Maestro Di Marca.

PIPPO DI MARCA: Riguardo alle gentili parole di Giulia Basel, mi sento solo ringraziare e confermare quanto lei ha detto a ragione, senza bisogno di aggiungere gran che da parte mia. Mi concedo allora di fare un esempio: la compagnia Raffaello Sanzio ha iniziato la sua attività proprio al Metateatro. Era il 1981, se non erro. Si tratta di uno degli innumerevoli esempi che potrei fare, ma tramite questo intendo dire che, in un modo o nell'altro, il palco del Metateatro ha rappresentato un passaggio iniziatico per moltissimi artisti.
Per quanto invece concerne l'attività meritoria del Premio Scenario, a cui è dedicato il libro di Cristina Valenti, faccio una constatazione. Cristina Valenti è docente di “Storia del Nuovo Teatro” e non semplicemente di “Storia del Teatro”. Mi sembra una differenza significativa, perché la prima volta che in Italia è stata usata l'espressione “Nuovo Teatro” - per distinguerlo dalla tradizione precedente - è stato nel 1967 al Congegno di Ivrea. In quell'occasione fu certificata una situazione che si stava delineando da alcuni anni in Italia, ovvero si stava formando una nuova generazione teatrale, caratterizzata da una nuova modalità di approcciarsi alla scrittura scenica. Nel documento che risultò da quello storico convegno, redatto da fior di artisti e di critici (quei critici che da allora in poi noi abbiamo chiamato i “nostri compagni di viaggio”) compare proprio la dicitura rivoluzionaria di scrittura scenica, che è un concetto che va oltre quello di regia (pur precisando che la regia, in senso lato, comprende al suo interno anche il lavoro di scrittura scenica). Ma se il termine ed il concetto di regia era già allora ampiamente affermato, quello di scrittura scenica era del tutto innovativo.
Cristina Valenti appartiene alla generazione successiva rispetto a quel nucleo originario di critici avveduti, ma ne conserva il segno, e questo fa di lei oggi una delle più importanti “compagne di strada” di questo nostro percorso che non è ancora terminato.
Si tratta di un percorso -quello del Nuovo Teatro- che ha una varietà incredibile di ramificazioni. Per concentrare il discorso sui festival o premi che hanno dato spazio alle nuove forme dell'arte scenica, citerei doverosamente il Patalogo fondato da Franco Quadri, quindi il Festival di Sant'Arcangelo, prima dell'invenzione di Scenario. L'importanza specifica di Scenario sta nella valorizzazione della parte più innovativa del Nuovo Teatro, favorendo il passaggio di consegne rapido tra le varie generazioni. Credo che sia opportuno, a questo punto, ascoltare direttamente da Cristina Valenti una valutazione storica sulla lunga vita del Premio Scenario, mettendo in risalto soprattutto i contributi di poetiche e di stili che Scenario ha portato nel corso di questi tre decenni.

CRISTINA VALENTI: Voglio ricollegarmi subito con la premessa di Pippo di Marca, perché contiene alcuni passaggi estremamente validi per contestualizzare una storia lunga come quella del Premio Scenario. E' verissimo che tutto nasce con il Convegno di Ivrea, che se ne abbia o no la consapevolezza, perché lì si è in qualche modo smantellata una situazione di monolitismo teatrale.
E' infatti difficile immaginare oggi come fosse il teatro in Italia prima del '67, persino la geografia del teatro di allora. Certo, anche Ivrea non è nata dal nulla: erano già presenti da qualche tempo gli artisti che avrebbero dato vita a quel convegno, come Carmelo Bene o Leo De Berardinis, ma se è vero che avevano già mosso qualche passo, va detto che si erano affacciati su di una scena, come quella del teatro italiano dell'epoca, che era molto diversa da quella del Nuovo Teatro.
Era un teatro fatto di edifici storici, mentre oggi siamo abituati a pensare che si può fare teatro ovunque. Vengono creati spazi teatrali riconvertendo fabbriche, come d'altronde accade qui a Pescara, con spettacoli in ospitati in un ex mattatoio (lo Spazio Matta) ed in un ex panificio (il Florian Espace), come è avvenuto per il bellissimo festival “Scenari Europei” a cui stiamo assistendo in questi giorni.
Ma il Nuovo Teatro può trovare spazio anche all'interno di luoghi ancor meno connotati: in strada o in piazza ad esempio, o anche in appartamenti privati, consuetudine che in Italia ha sperimentato proprio Pippo di Marca negli anni '70, per non parlare naturalmente del teatro nelle cantine.
La generazione che ha inventato il Nuovo Teatro non ha solo inventato un nuovo linguaggio teatrale. Il linguaggio si rinnova continuamente ed a volte si reinventa e loro non hanno fatto solo questo; hanno davvero dissodato dei territori precedentemente non utilizzati dal teatro. Sono andati nelle periferie, nelle cantine invece di andare a bussare in centro dicendo: “siamo la nuova generazione, apriteci le porte”. Invece di chiedere ritagli di spazi, hanno adottato una strategia di parallelismo, ovvero l'andare a costruire altrove, perché non sempre è possibile insediarsi nei luoghi già conquistai da altri (che all'epoca erano gli spazi della tradizione, ovvero gli edifici storici deputati al repertorio). Questo è stato il vero gesto fondativo compiuto dalla prima generazione del Nuovo Teatro in Italia.
Poi è venuta la seconda generazione, quella degli anni '70, che ha lavorato diversamente, forse anche non riconoscendo nella prima (ovvero nella generazione delle cantine) i loro padri artistici a cui guardare alla ricerca di ispirazione. D'altronde, si tratta di un fenomeno normale: nel momento in cui emerge un nuovo fenomeno teatrale, questo non sente il bisogno di ricollegarsi a quello precedente, quanto piuttosto quello di segnare una rottura, una cesura per affermare la propria identità.
Ma se si tratta di un fenomeno normale, poi in sede storica bisogna pesare correttamente le testimonianze personali, sviluppare una prospettiva ulteriore per cogliere dei legami anche dove non vogliano essere riconosciuti dagli artisti stessi. In realtà queste due generazioni in qualche modo hanno rilanciato gli stessi temi: la necessità di costruire un teatro che corrispondesse al proprio genio artistico, non solo a livello di linguaggio teatrale, ma a livello di organizzazione e di culture professionali. Sono emerse nuove culture professionali, che hanno messo in discussione quelle precedenti ed hanno davvero rivoluzionato il modo di fare teatro: di scrivere, di recitare, di intendere il rapporto con il regista, cosa significa essere attori ed essere attori creativi.
Erano anni in cui, a partire dai giovani, si metteva in questione l'autorità, e ciò è avvento anche a teatro tramite questo movimento. Quindi, per ribadire quanto detto poco fa, queste due generazionI hanno lanciato gli stessi temi ed hanno lavorato per costruire spazi, dissodando territori ed abitandoli, portando avanti l'idea di nuovi spazi teatrali.
Abbiamo parlato delle cantine, ma gli anni '70 sono stati il tempo di quelle che vennero definite le “sedi teatrali”. Si chiamavano così perché si chiamavano “sedi” quelle dei gruppi politici. I gruppi politici erano anche gruppi teatrali, i quali aprivano delle sedi dove si faceva di tutto, non solo teatro. Il teatro in quegli anni si è trasformato in una sorta di via artistica alla politica, quindi uno dei modi di fare politica secondo modi non usuali. In questo caso, attraverso il teatro, ma non si trattava solo di inserire contenuti politici dentro lo spettacolo, significava essere politici nel teatro attraverso la dimensione del gruppo e le relazioni da costruire e da reinventare all'interno di una micro-società teatrale.
Questa situazione si è protratta per tutti gli anni '70 e fini ai primi anni '80, quando dopo le cantine sono state aperte nuove sedi ed è stata disegnata una nuova geografia del teatro italiano. A metà degli anni '80 però questa nuova geografia si era nuovamente cristallizzata, nel senso che i giovani artisti che negli anni '70 avevano aperto spazi nuovi combattevano contro il timore che questi spazi conquistati venissero chiusi, un po' per ragioni generazionali, un po' per ragioni strutturali, legate alle leggi del sistema teatrale.
Per questo motivo, gli anni '80 hanno segnato una fase di empasse dopo la grande crescita vissuta nei due decenni precedenti. E così le nuove generazioni che si affacciavano al teatro negli anni '80 correvano seriamente il rischio di non trovare accoglienza neanche nei territori del nuovo teatro.
Gli anni '90 hanno di nuovo messo in discussione tutto, ma secondo me questo è avvenuto grazie a Scenario, perché senza Scenario gli anni '80 rischiavano di creare un imbuto, un circolo vizioso che rendeva il teatro un luogo asfittico. Non a caso si tratta di un'invenzione che nasce dall'interno del mondo del teatro e non viene impartito dalle autorità. Il Premio Scenario nasce per iniziativa degli artisti, un gruppo di artisti capeggiati da Marco Baliani, a cui si deve l'idea di fondo del premio.
C'è un passaggio fondamentale, che ha permesso a Scenario di fissare le sue finalità specifiche e le sue vocazioni: passare dal concetto di “territorio da conquistare” a quello di “terreno da coltivare”. Questa espressione è contenuta nel primo bando del Premio Scenario del 1987 e c'è ancora, la conserviamo in ogni nuovo bando, per intendere con questa formula efficace la finalità principale che questo premio si prefigge, ovvero una forma di responsabilità rispetto ai giovani artisti, alle nuove generazioni di artisti, al rinnovamento del teatro italiano che viene visto come un terreno da rispettare, curare, difendere, coltivare.
L'idea di un teatro da coltivare si traduce attraverso un grande lavoro di supporto, di accompagnamento, di promozione dei lavori teatrali presi in esame. Scenario è innanzi tutto un lavoro di mappatura per cercare di capire qual è il nuovo che emerge, per poi accompagnarlo, costruendo degli scambi e delle esperienze.
Tutte queste cose negli anni '80 erano davvero impossibili da fare o da concepire. Sembrava quasi contro-natura, per gli artisti che avevano appena conquistato delle posizioni, aprire delle occasioni e delle opportunità per i nuovi venuti.
Ai giovani artisti io consiglio di costruirsi le loro relazioni sia con gli altri artisti che con i critici, perché per i critici più affermati ed importanti il Nuovo Teatro è quello che hanno vissuto e raccontato loro, e per sempre resterà quello. Questo può apparire ingiusto, ma è un meccanismo ineluttabile. Negli anni 80 è accaduto che artisti che consideravano se stessi il nuovo erano assolutamente impreparati a concepire la novità oltre se stessi. Scenario ha rappresentato l'unica occasione di scuotimento da questa situazione e di apertura per il nuovo.
Nella prefazione al libro che ho curato, Baliani ricorda gli inizi del Premio sul finire degli anni '80, quando attorno a Scenario eravamo “quattro gatti”, come si suol dire.
Era proprio vero, ed oggi fortunatamente possiamo dire che la situazione è cambiata. Quella di Baliani fu un'idea che ha tutte le caratteristiche dell'intuizione, ma secondo me si trattò anche di un gesto politico. Quelli erano infatti anni di adesione totale alle proprie scelte (ovvero, subito dopo gli “anni di piombo”), e questa tensione si rifletteva su di una generazione teatrale che veniva dalla politica e dove quindi le contrapposizioni erano fortissime. Così ad esempio chi aveva aderito al teatro ragazzi guardava in cagnesco il teatro di ricerca, e viceversa (forse ancor di più viceversa). Il gesto politico di Baliani è stato quello di mettere insieme teatro di ricerca e teatro ragazzi, riconoscendoli entrambi all'interno del teatro di innovazione.
D'altronde il teatro ragazzi prima non esisteva, è stato davvero inventato in quegli anni lì e dunque merita assolutamente un riconoscimento come forma teatrale d'innovazione. Questo mettere assieme dei territori contrapposti mirava a coltivare assieme un terreno comune.
Prima Pippo parlava della definizione di scrittura scenica, che in europa era stata enunciata prima che in Italia, mentre da noi è stata coniata per la prima volta da Giuseppe Bartolucci, con un suo celebre libro. Baliani ama ricordare il suo rapporto con Bartolucci, che con un eufemismo si può descrivere come un rapporto fortemente dialettico, nel senso che si scontravano tutte le volte che si incontravano. Bartolucci propugnava il teatro immagine, un teatro gestuale, (le tendenze portanti al momento erano il teatro post-moderno ed il terzo teatro, e Bartolucci era un “profeta” del teatro post-moderno). Baliani proponeva un superamento di questi sbarramenti. Comunque sia, Baliani decise di confidare proprio a Bartolucci la sua idea. Prende appuntamento con il suo fiero “nemico” e gli illustra l'idea del Premio Scenario, che però all'epoca non aveva ancora un nome ben preciso. Per la prima volta Bartolucci non trova nessuna ragione di contrapposizione, si illumina ed anzi propone lui stesso il nome di Premio Scenario. Così Baliani racconta che uscendo da quell'incontro dall'esito insperato ebbe la certezza che quella del Premio Scenario sarebbe stata una buona nascita. Oggi, a trent'anni di distanza, possiamo confermare a pieno la sensazione di Baliani.
La politicità di Scenario sta anche in un altro punto di novità: prima tra le diverse generazioni c'era solo contrapposizione, mentre Scenario prevede che i giovani artisti propongano i loro progetti non solo al loro pubblico, ma anche agli artisti delle generazioni precedenti in una sorta di mutuo confronto del proprio lavoro.
Bisogna ricordare che negli anni '80, quando è nato Scenario, il teatro non era così popolare presso i giovani. Erano altre le forme d'arte che spopolavano: il cinema e soprattutto la musica. Erano gli anni in cui nascevano i primi centri sociali, in cui si proponeva soprattutto musica, poi la videoarte, mentre il teatro sembrava una formula passatista per i giovani che vivevano una qualche esigenza espressiva. Nell'87, Scenario viene ad incentivare il teatro presso questo contesto giovanile ed oggi, dopo quasi trent'anni, si possono vedere i frutti di quest'azione, che ha trasformato radicalmente il contesto giovanile del nostro paese per quanto riguarda l'interesse verso il teatro. Oggi nessuno sentirebbe il bisogno di incentivare la passione per il teatro nei nostri giovani; verrebbe semmai la tentazione di contenerla, vista la congerie di gruppi e progetti teatrali che si assiepano attorno a Scenario. Né è un caso che in questi anni si sono via via moltiplicati i premi teatrali in Italia.
Scenario ha tenuto acceso il lumicino del teatro in un periodo in cui c'erano più ombre che luci, andando a dire ai giovani che costruire un nuovo teatro ed un movimento del nuovo era possibile. Negli anni '90 è venuta fuori quella che si annovera come la terza ondata del Nuovo Teatro (i cosiddetti “Teatri 90”), ma la mia sensazione è che se non ci fosse stato il Premio Scenario in quel preciso momento storico, tenendo accesa la luce dell'interesse verso il teatro come forma capace di esprimere la contemporaneità, forse i Teatri 90 non sarebbero emersi. D'altronde tutti i rappresentanti dei Teatri 90 sono passati attraverso Scenario, pur con alterne fortune.
Infine, vorrei fare una precisazione sulla formula del premio: Scenario in questi anni è rimasto fedele al suo principio originario, ma si è anche molto rinnovato internamente. La chiave vincente è che continua a fondare sui progetti presentati, perché in questo modo quell'azione di mappatura del nuovo non va ad inquadrare quelle nuove tendenze teatrali che però si sono già formalizzate, ma le nuove idee, le novità in fieri che non ancora si sono condensate in un realtà.
I progetti devono essere sempre assolutamente inediti ed originali; i candidati presentano il loro progetto in forma cartacea, tutti i candidati incontrano le giurie zonali, ovvero le commissioni di zona formate dai soci dell'Associazione Scenario. Qui tutti gli artisti hanno la possibilità di mostrare cinque minuti del lavoro che hanno in progetto di realizzare. Dopo questa fase istruttoria parte la selezione che porterà alla finale. Alle selezioni si presentano venti minuti, perché il premio vuole intervenire come aiuto alla costruzione di uno spettacolo che si va realizzando.
Per tradizione, la finale si svolge all'interno del festival di Sant'Arcangelo, a cui arrivano dai dodici ai dieci progetti, tra cui vengono premiati a diverso titolo quattro progetti (“Premio Scenario” che va al migliore spettacolo, “Premio Scenario per Ustica” che va al migliore spettacolo di impegno civile e due segnalazioni speciali per i progetti meritevoli). Questi quattro progetti costituiscono la cosiddetta Generazione Scenario, ovvero gli spettacoli premiati all'edizione di quella determinata annata e si tratta in tutti i casi di studi, ovvero progetti in fieri che devono ancora essere ultimati (congelati alla durata di venti minuti).
Oltre ad un contributo economico, che varia a seconda del riconoscimento attribuito e destinato al completamento degli spettacoli dalla forma di studio (venti minuti) alla versione completa, il Premio Scenario si occuperà di produrre i quattro spettacoli fino alla loro versione completa e di promuoverli per farli girare il più possibile.
A questo scopo si attivano i teatri che aderiscono all'Associazione Scenario, ma anche i festival affiliati, come Volterra Teatro, Short Theatre ed in generale i premi in cui sono coinvolti dei soci dell'associazione.

PIPPO DI MARCA: Vorrei riallacciarmi al tema delle frizioni tra diverse forme di teatro, come quella tra il Teatro di Ricerca, sostenuto da Bartolucci e di cui io facevo parte, ed il Terzo Teatro che ci apparteneva poco e che andava verso una religiosità o spiritualità. Il teatro ragazzi non ancora era nato come fenomeno collettivo, ma iniziava a muoversi, preparando il terreno di un terzo polo coinvolto in questa contrapposizione forte. Con il tempo si arrivò ad un superamento delle contrapposizioni. Oggi, attraverso l'esperienza di Scenario, siamo in un momento in cui ci si presenta un universo teatrale molto differenziato, che nasce però da queste esperienze, anche se non si vuole riconoscere necessariamente questa genesi.
Oggi uno che inizia a fare teatro ed ha vent'anni che cosa ne vuole sapere di quello che è successo nel '70 o nel '72? Però è proprio allora che vennero gettate le premesse per ciò che si può fare oggi. Sono percorsi generazionali fatti di connessioni forse invisibili, ma effettive.
Carmelo Bene non aveva allievi, non ha avuto eredi né epigoni, perché non è mai stato un maestro, anche perché non è mai stato riconosciuto dal teatro ufficiale, al contrario di Leo. Ora se è vero che Carmelo non è stato un maestro, io amo precisare che a mio avviso lui ha rivestito un altro ruolo: è stato un “cattivo maestro” perché ha insegnato a ciascuno di noi a fare qualcosa contro, non importa come.
Baliani è uno dei pochi che ha incarnato la fusione tra esperienze diverse di cui si parlava prima, se si osserva per intero il suo percorso artistico dagli esordi ad oggi.
Il discorso sulla polis e anti-polis nacque negli anni '60, ma il punto che mi preme sottolineare riguardo a questo andirivieni di tensioni ed influenze è che in arte come nella vita siamo tutti figli di qualcuno, anche se ad occhio nudo in nessuno è più riconoscibile il ceppo di partenza. Da artista io guardo a questo fenomeno in maniera distintiva.
L'altro giorno ero a ShortTheatre per vedere Manfredini. Qualcuno incontrandomi mi ha chiesto: “ma tu vai ancora a vedere Manfredini?” La mia risposta è stata: “io vado per affetto.” In ogni caso, faccio per prendere posto ed entro in una specie di caverna, un inferno, e dentro di me sento un senso di sorpresa, quasi di vertigine: non riuscivo a capire dove stavo andando e che cosa mi apprestavo a vedere. Io di spettacoli be ho visti centinaia, oltre a quelli che ho fatto io, eppure ogni volta di fronte ad un nuovo spettacolo provi sempre uno stupore.
La storia del Nuovo Teatro non è tutta uguale, ha avuto momenti più o meno esaltanti, ma è una storia di primissimo livello.
Un tempo si diceva che nasce un artista per ogni generazione. Nel teatro italiano d'avanguardia possiamo tranquillamente individuare almeno 3 o 4 artisti per ogni decennio. Anche al Premio Scenario ho assistito a spettacoli assolutamente artistici: posso citare Babilonia Teatri o Fabrizio Arcuri.
Su Arcuri mi posso dilungare con maggiore precisione, perché lui ha debuttato nel mio teatro nel '93, quando era ancora un ragazzino. Oggi lui è un grande regista, con una esperienza quasi unica. Ma già nel '94, un anno dopo il debutto, lui ha fatto uno spettacolo al Teatro Vascello in cui dimostrò una conoscenza registica che spaziava da Strehler a Ronconi al teatro d'avanguardia, ed in generale a tutti i linguaggi teatrali del nostro tempo. Oggi, dopo tante prove, ha scelto di lavorare su di un teatro -diciamo- “minimale”, ma lui è uno di quelli che può misurarsi con ogni forma di teatro, perché gli è stato inoculato quel veleno per il nuovo negli anni della sua formazione, quando aveva poco più di 18 anni.
Ricordo quando con Leo De Berardinis ci interrogavamo sul tema della memoria artistica negli anni '90, anni in cui avevi la netta impressione che nessuno si accorgesse più di te. Ci venne allora l'idea di fare delle “auto-interviste” e di estendere questo invito agli artisti delle generazioni successive, quelle di mezzo con Martone ed altri, e quelle successive, con i vari Latini, Ilaria Drago, i Motus eccetera.
Ricordo che chiedevamo agli artisti interpellati di esprimersi riguardo ad una eventuale connessione tra il loro lavoro e quello delle altre generazioni. Ebbene, tranne me, nessuno della vecchia guardia si mostrò disposto a riconoscere la minima connessione con gli artisti delle generazioni successive e viceversa.
E' un fenomeno moto italiano questo, mentre in altri paesi c'è maggiore comunanza in termini di identità e di riconoscimento. Così oggi, i ragazzi che escono da Scenario conservano questo DNA italiano, ed anche se non sono in grado di riconoscere la connessione con il prima, un terreno comune c'è e rimane, pur nelle differenze.
Alla luce di questa situazione che ho cercato di ricostruire per sintesi e per salti, mi sento di poter dire che il Premio Scenario oggi rappresenta forse la più importante iniziativa teatrale nel nostro paese.

CRISTINA VALENTI: Ringrazio vivamente Pippo Di Marca per questa suggestiva contestualizzazione. A questo punto credo sia opportuno concludere questo nostro incontro ricordando alcuni aspetti organizzativi del Premio Scenario, ma che sono di primissima importanza, per comprendere l'identità del premio e le sue possibilità di futuro.
Forse non tutti sanno che il Premio Scenario oggi si regge per una parte importante sull'operazione di volontariato dei soci, visto che il supporto del Ministero è sempre più esiguo, tanto da metterne in dubbio la presenza nel prossimo futuro. Io preferisco pensare che un'esperienza del genere riuscirà a resistere, anche se dovremo reinventarci, in termini di una sempre maggior solidarietà tra noi soci. Ciò che non accetto minimamente è che per decreto ministeriale si arrivi non già a tagliare dei fondi, ma ad entrare nel merito dello statuto del Premio, al fine di stravolgerlo nella sua vocazione e nella sua identità o nelle finalità che persegue.
Scenario nasce per l'iniziativa degli operatori teatrali che hanno cercato di superare i limiti dei propri egoismi a favore di un atteggiamento solidale da rivolgere ai nuovi soggetti teatrali. Non è nato per decreto ministeriale ed oggi non deve adeguarsi ad un decreto ministeriale. L'Associazione Scenario è un soggetto autonomo, altro rispetto ai singoli soggetti teatrali che ne fanno parte, ed i fondi che riceve vengono totalmente impiegati per i progetti del Premio, non vanno in nessuna parte a finanziare i soci o i loro progetti privati. Ma è come se ci dicessero che il Premio Scenario rappresenta un'utopia, nata in anni lontani ma che oggi non ha più fondamento. Io credo invece che la solidarietà in ambito artistico verso chi viene dopo di noi, oggi possa e debba trovare ancora fondamento. L'importante è fare sempre salva l'identità del premio: un'iniziativa che viene dal basso e chiede ai vertici solo un sostegno.




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