IL
PREMIO SCENARIO, TRA STORIA E FUTURO
a cura di Paolo
Verlengia
In
questo articolo sono riportati gli interventi tenuti in occasione
della presentazione del volume “GENERAZIONI DEL NUOVO”, edito da
Titivillus e curato da Cristina Valenti, direttore artistico del
Premio Scenario e docente di Nuovo Teatro all'Università di Bologna.
L'incontro
ha avuto luogo in occasione della giornata conclusiva della prima
edizione Festival “Scenari Europei”, organizzato a Pescara da
FLORIAN METATEATRO (18-21 settembre 2015) ed ha permesso di tracciare
importanti prospettive storiche su di una realtà come il Premio
Scenario, che si avvia a festeggiare trent'anni di vita.
Trent'anni
che fotografano fatalmente il passaggio da un'Italia ad un'altra,
attraverso il succedersi delle generazioni teatrali, con il ruolo che
il teatro via via viene a rappresentare in corrispondenza con il
mutare dei costumi e degli eventi.
Apre
i lavori una presentazione di Giulia Basel, fondatrice e direttore
artistico di Florian Metateatro, seguita da due corposi interventi di
Pippo Di Marca e Cristina Valenti.
GIULIA
BASEL: E' questo un incontro a cui noi del Florian teniamo molto,
perché crediamo che sia sempre importante approfondire i temi che
stanno intorno allo spettacolo, la vita delle compagnie e lo
svolgersi del lavoro teatrale, non solo dal punto di vista artistico
ma anche per ciò che riguarda la vita del teatro. Pensiamo che due
persone come Cristina Valenti -Direttrice Artistica del Premio
Scenario – e Pippo Di Marca -artista di riferimento
dell'avanguardia teatrale italiana e fondatore di un teatro storico
come il Metateatro di Roma- possano guidarci in maniera magistrale
lungo questo approfondimento che intendiamo focalizzare sulla realtà
del premio Scenario.
Il
Florian è entrato per la prima volta nell'osservatorio critico del
Premio Scenario nel 2003. Per me e per tutti noi è stata
un'esperienza straordinaria, che ci ha segnato profondamente.
L'entusiasmo che se ne trae e la crescita personale sono tali che da
allora non abbiamo mai abbandonato Scenario, nonostante la mole di
lavoro considerevole e le difficoltà di ordine pratico che questa
scelta comporta.
Vorrei
che Pippo Di Marca completasse con me la presentazione di questo
incontro a cui -come detto- tengo particolarmente. C'è un aspetto
della persona di Pippo Di Marca, al di là dei meriti artistici, che
mi piace sottolineare: pur essendo un artista a tutto tondo -
performer, regista, autore- ha sempre avuto una attenzione
massima verso il lavoro degli altri, e verso i giovani in
particolare. Si tratta d'altronde della grande apertura culturale,
umana ed artistica che caratterizza tutti i partecipanti
dell'Associazione Scenario, ma che non è un dato così scontato nel
mondo del teatro. Ci sono infatti molti artisti, bravissimi dal punto
di vista tecnico, ma che risultano chiusi nel loro mondo creativo.
Per
contro, Pippo, grazie a questa sua visione, ha rappresentato con il
suo Metateatro un riferimento costante per l'avanguardia non solo
romana.
E'
quindi con piacere che posso annunciare che da questa stagione
l'attività di Pippo Di Marca s' è venuta ad unire a quella del
Florian, dando vita ad un connubio artistico sotto il nome di Florian
Metateatro. La parola al Maestro Di Marca.
PIPPO
DI MARCA: Riguardo alle gentili parole di Giulia Basel, mi sento solo
ringraziare e confermare quanto lei ha detto a ragione, senza bisogno
di aggiungere gran che da parte mia. Mi concedo allora di fare un
esempio: la compagnia Raffaello Sanzio ha iniziato la sua attività
proprio al Metateatro. Era il 1981, se non erro. Si tratta di uno
degli innumerevoli esempi che potrei fare, ma tramite questo intendo
dire che, in un modo o nell'altro, il palco del Metateatro ha
rappresentato un passaggio iniziatico per moltissimi artisti.
Per
quanto invece concerne l'attività meritoria del Premio Scenario, a
cui è dedicato il libro di Cristina Valenti, faccio una
constatazione. Cristina Valenti è docente di “Storia del Nuovo
Teatro” e non semplicemente di “Storia del Teatro”. Mi sembra
una differenza significativa, perché la prima volta che in Italia è
stata usata l'espressione “Nuovo Teatro” - per distinguerlo dalla
tradizione precedente - è stato nel 1967 al Congegno di Ivrea. In
quell'occasione fu certificata una situazione che si stava delineando
da alcuni anni in Italia, ovvero si stava formando una nuova
generazione teatrale, caratterizzata da una nuova modalità di
approcciarsi alla scrittura scenica. Nel documento che risultò da
quello storico convegno, redatto da fior di artisti e di critici
(quei critici che da allora in poi noi abbiamo chiamato i “nostri
compagni di viaggio”) compare proprio la dicitura rivoluzionaria di
scrittura scenica, che è un concetto che va oltre
quello di regia (pur precisando che la regia, in senso lato,
comprende al suo interno anche il lavoro di scrittura scenica). Ma se
il termine ed il concetto di regia era già allora ampiamente
affermato, quello di scrittura scenica era del tutto innovativo.
Cristina
Valenti appartiene alla generazione successiva rispetto a quel nucleo
originario di critici avveduti, ma ne conserva il segno, e questo fa
di lei oggi una delle più importanti “compagne di strada” di
questo nostro percorso che non è ancora terminato.
Si
tratta di un percorso -quello del Nuovo Teatro- che ha una varietà
incredibile di ramificazioni. Per concentrare il discorso sui
festival o premi che hanno dato spazio alle nuove forme dell'arte
scenica, citerei doverosamente il Patalogo fondato da Franco Quadri,
quindi il Festival di Sant'Arcangelo, prima dell'invenzione di
Scenario. L'importanza specifica di Scenario sta nella valorizzazione
della parte più innovativa del Nuovo Teatro, favorendo il passaggio
di consegne rapido tra le varie generazioni. Credo che sia opportuno,
a questo punto, ascoltare direttamente da Cristina Valenti una
valutazione storica sulla lunga vita del Premio Scenario, mettendo in
risalto soprattutto i contributi di poetiche e di stili che Scenario
ha portato nel corso di questi tre decenni.
CRISTINA
VALENTI: Voglio ricollegarmi subito con la premessa di Pippo di
Marca, perché contiene alcuni passaggi estremamente validi per
contestualizzare una storia lunga come quella del Premio Scenario. E'
verissimo che tutto nasce con il Convegno di Ivrea, che se ne abbia o
no la consapevolezza, perché lì si è in qualche modo smantellata
una situazione di monolitismo teatrale.
E'
infatti difficile immaginare oggi come fosse il teatro in Italia
prima del '67, persino la geografia del teatro di allora.
Certo, anche Ivrea non è nata dal nulla: erano già presenti da
qualche tempo gli artisti che avrebbero dato vita a quel convegno,
come Carmelo Bene o Leo De Berardinis, ma se è vero che avevano già
mosso qualche passo, va detto che si erano affacciati su di una
scena, come quella del teatro italiano dell'epoca, che era molto
diversa da quella del Nuovo Teatro.
Era
un teatro fatto di edifici storici, mentre oggi siamo abituati a
pensare che si può fare teatro ovunque. Vengono creati spazi
teatrali riconvertendo fabbriche, come d'altronde accade qui a
Pescara, con spettacoli in ospitati in un ex mattatoio (lo Spazio
Matta) ed in un ex panificio (il Florian Espace), come è avvenuto
per il bellissimo festival “Scenari Europei” a cui stiamo
assistendo in questi giorni.
Ma
il Nuovo Teatro può trovare spazio anche all'interno di luoghi ancor
meno connotati: in strada o in piazza ad esempio, o anche in
appartamenti privati, consuetudine che in Italia ha sperimentato
proprio Pippo di Marca negli anni '70, per non parlare naturalmente
del teatro nelle cantine.
La
generazione che ha inventato il Nuovo Teatro non ha solo inventato un
nuovo linguaggio teatrale. Il linguaggio si rinnova continuamente ed
a volte si reinventa e loro non hanno fatto solo questo; hanno
davvero dissodato dei territori precedentemente non utilizzati dal
teatro. Sono andati nelle periferie, nelle cantine invece di andare a
bussare in centro dicendo: “siamo la nuova generazione, apriteci le
porte”. Invece di chiedere ritagli di spazi, hanno adottato
una strategia di parallelismo, ovvero l'andare a costruire
altrove, perché non sempre è possibile insediarsi nei luoghi già
conquistai da altri (che all'epoca erano gli spazi della tradizione,
ovvero gli edifici storici deputati al repertorio). Questo è stato
il vero gesto fondativo compiuto dalla prima generazione del Nuovo
Teatro in Italia.
Poi
è venuta la seconda generazione, quella degli anni '70, che ha
lavorato diversamente, forse anche non riconoscendo nella prima
(ovvero nella generazione delle cantine) i loro padri artistici a cui
guardare alla ricerca di ispirazione. D'altronde, si tratta di un
fenomeno normale: nel momento in cui emerge un nuovo fenomeno
teatrale, questo non sente il bisogno di ricollegarsi a quello
precedente, quanto piuttosto quello di segnare una rottura, una
cesura per affermare la propria identità.
Ma
se si tratta di un fenomeno normale, poi in sede storica bisogna
pesare correttamente le testimonianze personali, sviluppare una
prospettiva ulteriore per cogliere dei legami anche dove non vogliano
essere riconosciuti dagli artisti stessi. In realtà queste due
generazioni in qualche modo hanno rilanciato gli stessi temi: la
necessità di costruire un teatro che corrispondesse al proprio genio
artistico, non solo a livello di linguaggio teatrale, ma a livello di
organizzazione e di culture professionali. Sono emerse nuove culture
professionali, che hanno messo in discussione quelle precedenti ed
hanno davvero rivoluzionato il modo di fare teatro: di scrivere, di
recitare, di intendere il rapporto con il regista, cosa significa
essere attori ed essere attori creativi.
Erano
anni in cui, a partire dai giovani, si metteva in questione
l'autorità, e ciò è avvento anche a teatro tramite questo
movimento. Quindi, per ribadire quanto detto poco fa, queste due
generazionI hanno lanciato gli stessi temi ed hanno lavorato per
costruire spazi, dissodando territori ed abitandoli, portando avanti
l'idea di nuovi spazi teatrali.
Abbiamo
parlato delle cantine, ma gli anni '70 sono stati il tempo di quelle
che vennero definite le “sedi teatrali”. Si chiamavano così
perché si chiamavano “sedi” quelle dei gruppi politici. I gruppi
politici erano anche gruppi teatrali, i quali aprivano delle sedi
dove si faceva di tutto, non solo teatro. Il teatro in quegli anni si
è trasformato in una sorta di via artistica alla politica, quindi
uno dei modi di fare politica secondo modi non usuali. In questo
caso, attraverso il teatro, ma non si trattava solo di inserire
contenuti politici dentro lo spettacolo, significava essere politici
nel teatro attraverso la dimensione del gruppo e le relazioni da
costruire e da reinventare all'interno di una micro-società
teatrale.
Questa
situazione si è protratta per tutti gli anni '70 e fini ai primi
anni '80, quando dopo le cantine sono state aperte nuove sedi ed è
stata disegnata una nuova geografia del teatro italiano. A metà
degli anni '80 però questa nuova geografia si era nuovamente
cristallizzata, nel senso che i giovani artisti che negli anni '70
avevano aperto spazi nuovi combattevano contro il timore che questi
spazi conquistati venissero chiusi, un po' per ragioni generazionali,
un po' per ragioni strutturali, legate alle leggi del sistema
teatrale.
Per
questo motivo, gli anni '80 hanno segnato una fase di empasse
dopo la grande crescita vissuta nei due decenni precedenti. E così
le nuove generazioni che si affacciavano al teatro negli anni '80
correvano seriamente il rischio di non trovare accoglienza neanche
nei territori del nuovo teatro.
Gli
anni '90 hanno di nuovo messo in discussione tutto, ma secondo me
questo è avvenuto grazie a Scenario, perché senza Scenario gli anni
'80 rischiavano di creare un imbuto, un circolo vizioso che rendeva
il teatro un luogo asfittico. Non a caso si tratta di un'invenzione
che nasce dall'interno del mondo del teatro e non viene impartito
dalle autorità. Il Premio Scenario nasce per iniziativa degli
artisti, un gruppo di artisti capeggiati da Marco Baliani, a cui si
deve l'idea di fondo del premio.
C'è
un passaggio fondamentale, che ha permesso a Scenario di fissare le
sue finalità specifiche e le sue vocazioni: passare dal concetto di
“territorio da conquistare” a quello di “terreno da coltivare”.
Questa espressione è contenuta nel primo bando del Premio Scenario
del 1987 e c'è ancora, la conserviamo in ogni nuovo bando, per
intendere con questa formula efficace la finalità principale che
questo premio si prefigge, ovvero una forma di responsabilità
rispetto ai giovani artisti, alle nuove generazioni di artisti, al
rinnovamento del teatro italiano che viene visto come un terreno da
rispettare, curare, difendere, coltivare.
L'idea
di un teatro da coltivare si traduce attraverso un grande lavoro di
supporto, di accompagnamento, di promozione dei lavori teatrali presi
in esame. Scenario è innanzi tutto un lavoro di mappatura per
cercare di capire qual è il nuovo che emerge, per poi accompagnarlo,
costruendo degli scambi e delle esperienze.
Tutte
queste cose negli anni '80 erano davvero impossibili da fare o da
concepire. Sembrava quasi contro-natura, per gli artisti che avevano
appena conquistato delle posizioni, aprire delle occasioni e delle
opportunità per i nuovi venuti.
Ai
giovani artisti io consiglio di costruirsi le loro relazioni sia con
gli altri artisti che con i critici, perché per i critici più
affermati ed importanti il Nuovo Teatro è quello che hanno vissuto e
raccontato loro, e per sempre resterà quello. Questo può apparire
ingiusto, ma è un meccanismo ineluttabile. Negli anni 80 è accaduto
che artisti che consideravano se stessi il nuovo erano assolutamente
impreparati a concepire la novità oltre se stessi. Scenario ha
rappresentato l'unica occasione di scuotimento da questa situazione e
di apertura per il nuovo.
Nella
prefazione al libro che ho curato, Baliani ricorda gli inizi del
Premio sul finire degli anni '80, quando attorno a Scenario eravamo
“quattro gatti”, come si suol dire.
Era
proprio vero, ed oggi fortunatamente possiamo dire che la situazione
è cambiata. Quella di Baliani fu un'idea che ha tutte le
caratteristiche dell'intuizione, ma secondo me si trattò anche di un
gesto politico. Quelli erano infatti anni di adesione totale alle
proprie scelte (ovvero, subito dopo gli “anni di piombo”), e
questa tensione si rifletteva su di una generazione teatrale che
veniva dalla politica e dove quindi le contrapposizioni erano
fortissime. Così ad esempio chi aveva aderito al teatro ragazzi
guardava in cagnesco il teatro di ricerca, e viceversa (forse ancor
di più viceversa). Il gesto politico di Baliani è stato quello di
mettere insieme teatro di ricerca e teatro ragazzi, riconoscendoli
entrambi all'interno del teatro di innovazione.
D'altronde
il teatro ragazzi prima non esisteva, è stato davvero inventato in
quegli anni lì e dunque merita assolutamente un riconoscimento come
forma teatrale d'innovazione. Questo mettere assieme dei territori
contrapposti mirava a coltivare assieme un terreno comune.
Prima
Pippo parlava della definizione di scrittura scenica, che in europa
era stata enunciata prima che in Italia, mentre da noi è stata
coniata per la prima volta da Giuseppe Bartolucci, con un suo celebre
libro. Baliani ama ricordare il suo rapporto con Bartolucci, che con
un eufemismo si può descrivere come un rapporto fortemente
dialettico, nel senso che si scontravano tutte le volte che si
incontravano. Bartolucci propugnava il teatro immagine, un
teatro gestuale, (le tendenze portanti al momento erano il teatro
post-moderno ed il terzo teatro, e Bartolucci era un “profeta”
del teatro post-moderno). Baliani proponeva un superamento di questi
sbarramenti. Comunque sia, Baliani decise di confidare proprio a
Bartolucci la sua idea. Prende appuntamento con il suo fiero “nemico”
e gli illustra l'idea del Premio Scenario, che però all'epoca non
aveva ancora un nome ben preciso. Per la prima volta Bartolucci non
trova nessuna ragione di contrapposizione, si illumina ed anzi
propone lui stesso il nome di Premio Scenario. Così Baliani racconta
che uscendo da quell'incontro dall'esito insperato ebbe la certezza
che quella del Premio Scenario sarebbe stata una buona nascita.
Oggi, a trent'anni di distanza, possiamo confermare a pieno la
sensazione di Baliani.
La
politicità di Scenario sta anche in un altro punto di novità: prima
tra le diverse generazioni c'era solo contrapposizione, mentre
Scenario prevede che i giovani artisti propongano i loro progetti non
solo al loro pubblico, ma anche agli artisti delle generazioni
precedenti in una sorta di mutuo confronto del proprio lavoro.
Bisogna
ricordare che negli anni '80, quando è nato Scenario, il teatro non
era così popolare presso i giovani. Erano altre le forme d'arte che
spopolavano: il cinema e soprattutto la musica. Erano gli anni in cui
nascevano i primi centri sociali, in cui si proponeva soprattutto
musica, poi la videoarte, mentre il teatro sembrava una formula
passatista per i giovani che vivevano una qualche esigenza
espressiva. Nell'87, Scenario viene ad incentivare il teatro presso
questo contesto giovanile ed oggi, dopo quasi trent'anni, si possono
vedere i frutti di quest'azione, che ha trasformato radicalmente il
contesto giovanile del nostro paese per quanto riguarda l'interesse
verso il teatro. Oggi nessuno sentirebbe il bisogno di incentivare la
passione per il teatro nei nostri giovani; verrebbe semmai la
tentazione di contenerla, vista la congerie di gruppi e progetti
teatrali che si assiepano attorno a Scenario. Né è un caso che in
questi anni si sono via via moltiplicati i premi teatrali in Italia.
Scenario
ha tenuto acceso il lumicino del teatro in un periodo in cui c'erano
più ombre che luci, andando a dire ai giovani che costruire un nuovo
teatro ed un movimento del nuovo era possibile. Negli anni '90 è
venuta fuori quella che si annovera come la terza ondata del Nuovo
Teatro (i cosiddetti “Teatri 90”), ma la mia sensazione è che se
non ci fosse stato il Premio Scenario in quel preciso momento
storico, tenendo accesa la luce dell'interesse verso il teatro come
forma capace di esprimere la contemporaneità, forse i Teatri 90 non
sarebbero emersi. D'altronde tutti i rappresentanti dei Teatri 90
sono passati attraverso Scenario, pur con alterne fortune.
Infine,
vorrei fare una precisazione sulla formula del premio: Scenario in
questi anni è rimasto fedele al suo principio originario, ma si è
anche molto rinnovato internamente. La chiave vincente è che
continua a fondare sui progetti presentati, perché in questo modo
quell'azione di mappatura del nuovo non va ad inquadrare quelle nuove
tendenze teatrali che però si sono già formalizzate, ma le
nuove idee, le novità in fieri che non ancora si sono
condensate in un realtà.
I
progetti devono essere sempre assolutamente inediti ed originali; i
candidati presentano il loro progetto in forma cartacea, tutti i
candidati incontrano le giurie zonali, ovvero le commissioni di zona
formate dai soci dell'Associazione Scenario. Qui tutti gli artisti
hanno la possibilità di mostrare cinque minuti del lavoro che hanno
in progetto di realizzare. Dopo questa fase istruttoria parte la
selezione che porterà alla finale. Alle selezioni si presentano
venti minuti, perché il premio vuole intervenire come aiuto alla
costruzione di uno spettacolo che si va realizzando.
Per
tradizione, la finale si svolge all'interno del festival di
Sant'Arcangelo, a cui arrivano dai dodici ai dieci progetti, tra cui
vengono premiati a diverso titolo quattro progetti (“Premio
Scenario” che va al migliore spettacolo, “Premio Scenario per
Ustica” che va al migliore spettacolo di impegno civile e due
segnalazioni speciali per i progetti meritevoli). Questi quattro
progetti costituiscono la cosiddetta Generazione Scenario, ovvero gli
spettacoli premiati all'edizione di quella determinata annata e si
tratta in tutti i casi di studi, ovvero progetti in fieri
che devono ancora essere ultimati (congelati alla durata di venti
minuti).
Oltre
ad un contributo economico, che varia a seconda del riconoscimento
attribuito e destinato al completamento degli spettacoli dalla forma
di studio (venti minuti) alla versione completa, il Premio Scenario
si occuperà di produrre i quattro spettacoli fino alla loro versione
completa e di promuoverli per farli girare il più possibile.
A
questo scopo si attivano i teatri che aderiscono all'Associazione
Scenario, ma anche i festival affiliati, come Volterra Teatro, Short
Theatre ed in generale i premi in cui sono coinvolti dei soci
dell'associazione.
PIPPO
DI MARCA: Vorrei riallacciarmi al tema delle frizioni tra diverse
forme di teatro, come quella tra il Teatro di Ricerca, sostenuto da
Bartolucci e di cui io facevo parte, ed il Terzo Teatro che ci
apparteneva poco e che andava verso una religiosità o spiritualità.
Il teatro ragazzi non ancora era nato come fenomeno collettivo, ma
iniziava a muoversi, preparando il terreno di un terzo polo coinvolto
in questa contrapposizione forte. Con il tempo si arrivò ad un
superamento delle contrapposizioni. Oggi, attraverso l'esperienza di
Scenario, siamo in un momento in cui ci si presenta un universo
teatrale molto differenziato, che nasce però da queste esperienze,
anche se non si vuole riconoscere necessariamente questa genesi.
Oggi
uno che inizia a fare teatro ed ha vent'anni che cosa ne vuole sapere
di quello che è successo nel '70 o nel '72? Però è proprio allora
che vennero gettate le premesse per ciò che si può fare oggi. Sono
percorsi generazionali fatti di connessioni forse invisibili, ma
effettive.
Carmelo
Bene non aveva allievi, non ha avuto eredi né epigoni, perché non è
mai stato un maestro, anche perché non è mai stato riconosciuto dal
teatro ufficiale, al contrario di Leo. Ora se è vero che Carmelo non
è stato un maestro, io amo precisare che a mio avviso lui ha
rivestito un altro ruolo: è stato un “cattivo maestro” perché
ha insegnato a ciascuno di noi a fare qualcosa contro, non importa
come.
Baliani
è uno dei pochi che ha incarnato la fusione tra esperienze diverse
di cui si parlava prima, se si osserva per intero il suo percorso
artistico dagli esordi ad oggi.
Il
discorso sulla polis e anti-polis nacque negli anni
'60, ma il punto che mi preme sottolineare riguardo a questo
andirivieni di tensioni ed influenze è che in arte come nella vita
siamo tutti figli di qualcuno, anche se ad occhio nudo in nessuno è
più riconoscibile il ceppo di partenza. Da artista io guardo a
questo fenomeno in maniera distintiva.
L'altro
giorno ero a ShortTheatre per vedere Manfredini. Qualcuno
incontrandomi mi ha chiesto: “ma tu vai ancora a vedere
Manfredini?” La mia risposta è stata: “io vado per affetto.”
In ogni caso, faccio per prendere posto ed entro in una specie di
caverna, un inferno, e dentro di me sento un senso di sorpresa, quasi
di vertigine: non riuscivo a capire dove stavo andando e che cosa mi
apprestavo a vedere. Io di spettacoli be ho visti centinaia, oltre a
quelli che ho fatto io, eppure ogni volta di fronte ad un nuovo
spettacolo provi sempre uno stupore.
La
storia del Nuovo Teatro non è tutta uguale, ha avuto momenti più o
meno esaltanti, ma è una storia di primissimo livello.
Un
tempo si diceva che nasce un artista per ogni generazione. Nel teatro
italiano d'avanguardia possiamo tranquillamente individuare almeno 3
o 4 artisti per ogni decennio. Anche al Premio Scenario ho assistito
a spettacoli assolutamente artistici: posso citare Babilonia Teatri
o Fabrizio Arcuri.
Su
Arcuri mi posso dilungare con maggiore precisione, perché lui ha
debuttato nel mio teatro nel '93, quando era ancora un ragazzino.
Oggi lui è un grande regista, con una esperienza quasi unica. Ma già
nel '94, un anno dopo il debutto, lui ha fatto uno spettacolo al
Teatro Vascello in cui dimostrò una conoscenza registica che
spaziava da Strehler a Ronconi al teatro d'avanguardia, ed in
generale a tutti i linguaggi teatrali del nostro tempo. Oggi, dopo
tante prove, ha scelto di lavorare su di un teatro -diciamo-
“minimale”, ma lui è uno di quelli che può misurarsi con ogni
forma di teatro, perché gli è stato inoculato quel veleno per il
nuovo negli anni della sua formazione, quando aveva poco più di 18
anni.
Ricordo
quando con Leo De Berardinis ci interrogavamo sul tema della memoria
artistica negli anni '90, anni in cui avevi la netta impressione che
nessuno si accorgesse più di te. Ci venne allora l'idea di fare
delle “auto-interviste” e di estendere questo invito agli artisti
delle generazioni successive, quelle di mezzo con Martone ed altri, e
quelle successive, con i vari Latini, Ilaria Drago, i Motus eccetera.
Ricordo
che chiedevamo agli artisti interpellati di esprimersi riguardo ad
una eventuale connessione tra il loro lavoro e quello delle altre
generazioni. Ebbene, tranne me, nessuno della vecchia guardia si
mostrò disposto a riconoscere la minima connessione con gli artisti
delle generazioni successive e viceversa.
E'
un fenomeno moto italiano questo, mentre in altri paesi c'è maggiore
comunanza in termini di identità e di riconoscimento. Così oggi, i
ragazzi che escono da Scenario conservano questo DNA italiano, ed
anche se non sono in grado di riconoscere la connessione con il
prima, un terreno comune c'è e rimane, pur nelle differenze.
Alla
luce di questa situazione che ho cercato di ricostruire per sintesi e
per salti, mi sento di poter dire che il Premio Scenario oggi
rappresenta forse la più importante iniziativa teatrale nel nostro
paese.
CRISTINA
VALENTI: Ringrazio vivamente Pippo Di Marca per questa suggestiva
contestualizzazione. A questo punto credo sia opportuno concludere
questo nostro incontro ricordando alcuni aspetti organizzativi del
Premio Scenario, ma che sono di primissima importanza, per
comprendere l'identità del premio e le sue possibilità di futuro.
Forse
non tutti sanno che il Premio Scenario oggi si regge per una parte
importante sull'operazione di volontariato dei soci, visto che il
supporto del Ministero è sempre più esiguo, tanto da metterne in
dubbio la presenza nel prossimo futuro. Io preferisco pensare che
un'esperienza del genere riuscirà a resistere, anche se dovremo
reinventarci, in termini di una sempre maggior solidarietà tra noi
soci. Ciò che non accetto minimamente è che per decreto
ministeriale si arrivi non già a tagliare dei fondi, ma ad entrare
nel merito dello statuto del Premio, al fine di stravolgerlo nella
sua vocazione e nella sua identità o nelle finalità che persegue.
Scenario
nasce per l'iniziativa degli operatori teatrali che hanno cercato di
superare i limiti dei propri egoismi a favore di un atteggiamento
solidale da rivolgere ai nuovi soggetti teatrali. Non è nato per
decreto ministeriale ed oggi non deve adeguarsi ad un decreto
ministeriale. L'Associazione Scenario è un soggetto autonomo, altro
rispetto ai singoli soggetti teatrali che ne fanno parte, ed i fondi
che riceve vengono totalmente impiegati per i progetti del Premio,
non vanno in nessuna parte a finanziare i soci o i loro progetti
privati. Ma è come se ci dicessero che il Premio Scenario
rappresenta un'utopia, nata in anni lontani ma che oggi non ha più
fondamento. Io credo invece che la solidarietà in ambito artistico
verso chi viene dopo di noi, oggi possa e debba trovare ancora
fondamento. L'importante è fare sempre salva l'identità del premio:
un'iniziativa che viene dal basso e chiede ai vertici solo un
sostegno.
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