ARTE E MODERNITA'
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Come
i diversi linguaggi artistici interagiscono con i modi del vivere
contemporaneo. (Seconda
Parte)
Il
XX secolo si è caratterizzato in campo storico-artistico per aver
posto in maniera quanto mai diretta un problema: qual è il ruolo
dell'arte? Il quesito è stato affrontato nelle forme più
radicali e spietate, arrivando a mettere in questione lo scopo stesso
dell'arte.
Tradizione
ed avanguardia si sono scontrate sullo sfondo di un contesto sociale
in rapido cambiamento (l'abbattimento dei privilegi nobiliari,
l'emersione del ceto proletario, l'ascesa della borghesia), con una
organizzazione diversa dei diritti (individuali e non più di casta o
di classe) ed un concetto di lavoro che da giogo si è trasformato in
strumento di affermazione professionale e di espressione personale.
Gli
artisti del nuovo secolo (le cosiddette avanguardie storiche) si sono
posti a stretto confronto con gli artigiani ed i lavoratori, cercando
una medesima dignità professionale e sociale, rifuggendo quindi da
ogni concezione idealizzata dello status di artista tramandato dalla
tradizione: diverso e distinto dalla massa, “eletto” o
“maledetto” che fosse.
Nel
contesto rivoluzionario in cui si è operato questo scontro, gli
innovatori più impegnati si sono divisi tra due risposte molto
nette: una è riassunta dal celebre slogan “l'arte per l'arte”,
ad indicare che l'arte non deve porsi alcuno scopo sociale; l'altra
invece impone agli artisti una utilità sociale e produttiva della
loro opera (come per i costruttivisti russi negli anni '20 e per le
avanguardie europee che si sono ispirate ad essi).
Oggi
con ogni probabilità certe categorie sono superate e non rispondono
alle tensioni nuove e diverse che vengono stimolate dalla società
attuale; resta però sicuramente una traccia della travagliata
riflessione che si è consumata nel recente passato, che si declina
con il linguaggio odierno trovando forme nuove. Anche oggi infatti
-pur senza slogan o manifesti programmatici- l'offerta artistica
sembra divaricarsi tra produzioni di matrice puramente estetica (o
-come si usa dire- “commerciale”), e forme in cui l'arte si
presenta quale strumento per arrivare ad uno scopo di utilità.
Uno
strumento è una estensione delle nostre capacità al di là della
nostra naturale dotazione. Può essere di tipo fisico, come
estensione del nostro corpo per compiere un'azione che normalmente
non riusciremmo a fare (ad esempio, un secchio ci permette di
trasportare dell'acqua, cosa impossibile a farsi con le mani nude) o
per ridurre lo sforzo normalmente necessario (i mezzi di trasporto ci
permettono di coprire in posizione comoda delle lunghe distanze che a
piedi sarebbero percorribili solo tramite grande dispendio di tempo
ed energie) oppure ancora per correggere un difetto o una fragilità
fisica (un paio di occhiali permette ad un vedente non perfetto di
leggere o osservare con efficacia, senza sforzare troppo la vista).
Chiaramente
l'arte può agire su di un piano diverso, come strumento
immateriale, andando a svolgere dei compiti meno visibili ma
altrettanto rilevanti di quelli realizzati dagli strumenti fisici.
Esiste infatti una intera sfera di bisogni e disagi
immateriali, fragilità o incapacità di natura psicologica,
dagli effetti assolutamente tangibili ma assolutamente inaccessibili
tramite gli strumenti fisici e materiali. In questi contesti l'arte
può agire come strumento, rivelando dunque una ricchezza non solo di
tipo umanistico, ma una vera e propria capacità di problem
solving, per utilizzare un
termine caro al nostro tempo ed al lessico aziendale.
Perché l'arte manifesti queste sue doti ricostituenti o
ricostruttive della sfera interiore è necessario che si parta dalla
presa di coscienza di un problema psicologico o emotivo, una
fragilità latente o una ferita invisibile; tuttavia, spesso il
bisogno immateriale può rimanere indistinto e persino originarsi da
cause non traumatiche, poiché è nella normale natura dell'uomo
aspirare all'armonia ed all'equilibrio. Di conseguenza è del
tutto fisiologico avvertire con una certa ciclicità dei momenti di
bisogno emotivo, di scompenso interiore, una carenza di senso del
tutto simile al normale oscillare delle energie biologiche tra
momenti di forma smagliante e fasi di necessario recupero.
In
realtà il bisogno della sostanza immateriale chiamata “armonia”
è costante, e sarebbe raffigurabile tramite una linea retta, mentre
è solo il limite della prospettiva umana che la deforma, proprio
come un albero in lontananza appare più piccolo della nostra mano,
pur non essendolo in realtà. L'organizzazione
dell'esistenza in una società fondamentalmente materialista come
quella dell'occidente -a partire almeno dall'inizio dell'era moderna,
e dunque dal Rinascimento- oltre ad aver permesso il raggiungimento
di molti obiettivi importanti in termini di diritto o di salute,
conduce fatalmente a fenomeni di “illusione ottica” o di falsa
prospettiva in termini di naturalità (in nome di
pseudo-regole riassumibili con lo slogan “se non vedo, non credo”).
Capita cioè di dimenticare l'ascolto di una voce e di una intera
dimensione (interiore ed immateriale), che torna riconoscibile alla nostra coscienza solo nei momenti di grave scompenso o di crisi (traumi, lutti,
delusioni), ma che in realtà c'era sempre stata. Così la “linea
retta” del bisogno costante d'armonia viene alterata, e
trasformata nella forma di un bisogno incostante, rispondente
alla falsa forma di una “sinusoide”, ovvero di una serie di curve
ascendenti e discendenti, che oscilla tra picchi e scomparse
momentanei.
Questa
situazione complessa spiega l'immortalità dell'arte attraverso le
diverse ere del progresso umano, la sua capacità di resistere a
tutte le culture parziali costruite dalle civiltà, che
funzionano esattamente come una lente opaca sovrapposta allo stato
naturale dell'esistenza. Nella nostra epoca, l'arte viene trasformata
in industria economica, incontrando fasi alterne di sconfitta e
rivincita repentina, ma sopravvive tuttavia ad ogni stortura perché
è connessa direttamente con il nucleo dei bisogni che più
atavicamente legano l'essere umano alla ricerca di armonia, come
bussola dei ritmi e delle direzioni dettate dalla nostra natura.
Non
sempre l'arte è una rappresentazione di bellezza o di armonia. Talvolta
mira anzi a riprodurre stati ansiogeni o la pura mancanza di senso.
In ogni caso, l'opera d'arte rappresenta il prodotto di un'azione non
casuale, non meccanica, bensì pienamente scelta dall'artista, mentre
le azioni quotidiane che la maggior parte di noi svolge rispondono a
gesti automatici, casuali e ripetitivi, comandati dalle situazioni
routinarie e sottratte alla nostra scelta consapevole.
E'
soprattutto in questo che risiede allora la funzione dell'arte, spiegando il
suo richiamo costante, a prescindere dai gusti personali o dal tipo
di opera in questione. Persino i casi di cosiddetta
“destrutturazione” della forma, come i quadri o le sculture
completamente astratte, le opere visuali apparentemente casuali -se
non provocatorie- o le performances dichiaratamente improvvisate,
rispondono ad un progetto che parte da una riflessione sulla forma,
scegliendo di metterla in questione o di riportarla alla dovuta
attenzione tramite la rappresentazione della sua negazione.
Oggi
che la tecnica più accessibile (l'esempio più efficace è dato dai
telefoni portatili in grado di fotografare, registrare video e tracce
audio) ci permette di documentare in maniera pressoché perfetta la
realtà, l'arte è sottratta dal ruolo di memoria documentale che
aveva in epoca pre-moderna, ma trasforma la sua funzione nella
custodia di quanto è fuggevole alla percezione dei nostri sensi: i
dettagli che nessun documento riuscirà mai a ricostruire, come la preziosità che ha -per noi e solo per noi- un determinato oggetto al di
là del suo valore intrinseco o di mercato, oppure concetti
impalpabili come uno stato d'animo che si è
accompagnato ad una determinata situazione, ad un luogo, un sapore o un profumo.
Ma principalmente è utile rammentare che il bisogno di elaborazione artistica -così
diversificato ma così comune- non risponde ad un meccanismo
edonistico indotto da un sistema post-industriale o capitalistico, ma
si origina da un principio naturale, primario e primitivo: l'istinto di
autodifesa dal dolore.
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