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ARTE E MODERNITA' (2/2)
Come i diversi linguaggi artistici interagiscono con i modi del vivere contemporaneo. (Seconda Parte)

Il XX secolo si è caratterizzato in campo storico-artistico per aver posto in maniera quanto mai diretta un problema: qual è il ruolo dell'arte? Il quesito è stato affrontato nelle forme più radicali e spietate, arrivando a mettere in questione lo scopo stesso dell'arte.
Tradizione ed avanguardia si sono scontrate sullo sfondo di un contesto sociale in rapido cambiamento (l'abbattimento dei privilegi nobiliari, l'emersione del ceto proletario, l'ascesa della borghesia), con una organizzazione diversa dei diritti (individuali e non più di casta o di classe) ed un concetto di lavoro che da giogo si è trasformato in strumento di affermazione professionale e di espressione personale.
Gli artisti del nuovo secolo (le cosiddette avanguardie storiche) si sono posti a stretto confronto con gli artigiani ed i lavoratori, cercando una medesima dignità professionale e sociale, rifuggendo quindi da ogni concezione idealizzata dello status di artista tramandato dalla tradizione: diverso e distinto dalla massa, “eletto” o “maledetto” che fosse.
Nel contesto rivoluzionario in cui si è operato questo scontro, gli innovatori più impegnati si sono divisi tra due risposte molto nette: una è riassunta dal celebre slogan “l'arte per l'arte”, ad indicare che l'arte non deve porsi alcuno scopo sociale; l'altra invece impone agli artisti una utilità sociale e produttiva della loro opera (come per i costruttivisti russi negli anni '20 e per le avanguardie europee che si sono ispirate ad essi).
Oggi con ogni probabilità certe categorie sono superate e non rispondono alle tensioni nuove e diverse che vengono stimolate dalla società attuale; resta però sicuramente una traccia della travagliata riflessione che si è consumata nel recente passato, che si declina con il linguaggio odierno trovando forme nuove. Anche oggi infatti -pur senza slogan o manifesti programmatici- l'offerta artistica sembra divaricarsi tra produzioni di matrice puramente estetica (o -come si usa dire- “commerciale”), e forme in cui l'arte si presenta quale strumento per arrivare ad uno scopo di utilità.
Uno strumento è una estensione delle nostre capacità al di là della nostra naturale dotazione. Può essere di tipo fisico, come estensione del nostro corpo per compiere un'azione che normalmente non riusciremmo a fare (ad esempio, un secchio ci permette di trasportare dell'acqua, cosa impossibile a farsi con le mani nude) o per ridurre lo sforzo normalmente necessario (i mezzi di trasporto ci permettono di coprire in posizione comoda delle lunghe distanze che a piedi sarebbero percorribili solo tramite grande dispendio di tempo ed energie) oppure ancora per correggere un difetto o una fragilità fisica (un paio di occhiali permette ad un vedente non perfetto di leggere o osservare con efficacia, senza sforzare troppo la vista).
Chiaramente l'arte può agire su di un piano diverso, come strumento immateriale, andando a svolgere dei compiti meno visibili ma altrettanto rilevanti di quelli realizzati dagli strumenti fisici. Esiste infatti una intera sfera di bisogni e disagi immateriali, fragilità o incapacità di natura psicologica, dagli effetti assolutamente tangibili ma assolutamente inaccessibili tramite gli strumenti fisici e materiali. In questi contesti l'arte può agire come strumento, rivelando dunque una ricchezza non solo di tipo umanistico, ma una vera e propria capacità di problem solving, per utilizzare un termine caro al nostro tempo ed al lessico aziendale.

Perché l'arte manifesti queste sue doti ricostituenti o ricostruttive della sfera interiore è necessario che si parta dalla presa di coscienza di un problema psicologico o emotivo, una fragilità latente o una ferita invisibile; tuttavia, spesso il bisogno immateriale può rimanere indistinto e persino originarsi da cause non traumatiche, poiché è nella normale natura dell'uomo aspirare all'armonia ed all'equilibrio. Di conseguenza è del tutto fisiologico avvertire con una certa ciclicità dei momenti di bisogno emotivo, di scompenso interiore, una carenza di senso del tutto simile al normale oscillare delle energie biologiche tra momenti di forma smagliante e fasi di necessario recupero.
In realtà il bisogno della sostanza immateriale chiamata “armonia” è costante, e sarebbe raffigurabile tramite una linea retta, mentre è solo il limite della prospettiva umana che la deforma, proprio come un albero in lontananza appare più piccolo della nostra mano, pur non essendolo in realtà. L'organizzazione dell'esistenza in una società fondamentalmente materialista come quella dell'occidente -a partire almeno dall'inizio dell'era moderna, e dunque dal Rinascimento- oltre ad aver permesso il raggiungimento di molti obiettivi importanti in termini di diritto o di salute, conduce fatalmente a fenomeni di “illusione ottica” o di falsa prospettiva in termini di naturalità (in nome di pseudo-regole riassumibili con lo slogan “se non vedo, non credo”). Capita cioè di dimenticare l'ascolto di una voce e di una intera dimensione (interiore ed immateriale), che torna riconoscibile alla nostra coscienza solo nei momenti di grave scompenso o di crisi (traumi, lutti, delusioni), ma che in realtà c'era sempre stata. Così la “linea retta” del bisogno costante d'armonia viene alterata, e trasformata nella forma di un bisogno incostante, rispondente alla falsa forma di una “sinusoide”, ovvero di una serie di curve ascendenti e discendenti, che oscilla tra picchi e scomparse momentanei.
Questa situazione complessa spiega l'immortalità dell'arte attraverso le diverse ere del progresso umano, la sua capacità di resistere a tutte le culture parziali costruite dalle civiltà, che funzionano esattamente come una lente opaca sovrapposta allo stato naturale dell'esistenza. Nella nostra epoca, l'arte viene trasformata in industria economica, incontrando fasi alterne di sconfitta e rivincita repentina, ma sopravvive tuttavia ad ogni stortura perché è connessa direttamente con il nucleo dei bisogni che più atavicamente legano l'essere umano alla ricerca di armonia, come bussola dei ritmi e delle direzioni dettate dalla nostra natura.
Non sempre l'arte è una rappresentazione di bellezza o di armonia. Talvolta mira anzi a riprodurre stati ansiogeni o la pura mancanza di senso. In ogni caso, l'opera d'arte rappresenta il prodotto di un'azione non casuale, non meccanica, bensì pienamente scelta dall'artista, mentre le azioni quotidiane che la maggior parte di noi svolge rispondono a gesti automatici, casuali e ripetitivi, comandati dalle situazioni routinarie e sottratte alla nostra scelta consapevole.
E' soprattutto in questo che risiede allora la funzione dell'arte, spiegando il suo richiamo costante, a prescindere dai gusti personali o dal tipo di opera in questione. Persino i casi di cosiddetta “destrutturazione” della forma, come i quadri o le sculture completamente astratte, le opere visuali apparentemente casuali -se non provocatorie- o le performances dichiaratamente improvvisate, rispondono ad un progetto che parte da una riflessione sulla forma, scegliendo di metterla in questione o di riportarla alla dovuta attenzione tramite la rappresentazione della sua negazione.
Oggi che la tecnica più accessibile (l'esempio più efficace è dato dai telefoni portatili in grado di fotografare, registrare video e tracce audio) ci permette di documentare in maniera pressoché perfetta la realtà, l'arte è sottratta dal ruolo di memoria documentale che aveva in epoca pre-moderna, ma trasforma la sua funzione nella custodia di quanto è fuggevole alla percezione dei nostri sensi: i dettagli che nessun documento riuscirà mai a ricostruire, come la preziosità che ha -per noi e solo per noi- un determinato oggetto al di là del suo valore intrinseco o di mercato, oppure concetti impalpabili come uno stato d'animo che si è accompagnato ad una determinata situazione, ad un luogo, un sapore o un profumo.
Ma principalmente è utile rammentare che il bisogno di elaborazione artistica -così diversificato ma così comune- non risponde ad un meccanismo edonistico indotto da un sistema post-industriale o capitalistico, ma si origina da un principio naturale, primario e primitivo: l'istinto di autodifesa dal dolore.
Paolo Verlengia

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