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ARTE E MODERNITA' (1/2)

Come i diversi linguaggi artistici interagiscono con i modi del vivere contemporaneo. (Prima Parte)


Il funzionamento delle società moderne fa sì che l'arte venga percepita come uno strumento aggiuntivo, che serva a colmare i bisogni secondari (svago, divertimento, gusto) una volta che sono stati soddisfatti quelli primari (la sussistenza e la salute corporea). In questo senso, sembrerebbe un'invenzione tipica dell'oggi, di un tempo ovvero in cui l'organizzazione sociale -pur nelle disuguaglianze, nelle contraddizioni e nei limiti che ancora permangono- riesce a garantire una aspettativa di vita più lunga rispetto al passato.
In realtà, la presenza dell'arte si attesta da sempre nelle società umane, come forma di comunicazione precedente all'invenzione della scrittura, a cui i popoli di tutte le latitudini hanno affidato un compito di espressione e di fissazione dei contenuti.


La forma artistica (dalla pittura su pietra alla musica, dal rito cantato e danzato all'epica, ovvero il racconto orale) costituiva non già uno strumento di intrattenimento, quanto un supporto di utilità ben più pratica, paragonabile agli odierni documenti o alle odierne memorie elettroniche (dai grandi database alle comuni chiavette USB).
Nelle società moderne, la maggior parte delle persone riesce ad esprimere la propria personalità tramite una miscela di canali, dove si intrecciano la propria attività lavorativa, le proprie relazioni interpersonali (affetti, amicizie) ed i propri interessi extra-professionali (hobby, sport), mentre la vocazione artistica risulta normalmente un campo riservato ad una parte minore di persone (artisti o amatori). Va notata una caratteristica sostanziale, ovvero che l'arte presenta sempre due piani di coinvolgimento:


-uno “produttivo” (e se vogliamo “attivo”), che riguarda gli artisti, ovvero coloro che creano le opere d'arte;


-l'altro “ricettivo” (o “interpretativo”), che coinvolge il pubblico, dagli addetti ai lavori agli esperti, agli amatori più genuini che fruiscono delle diverse opere d'arte (musica, cinema, televisione, radio, teatro, libri, concerti, mostre nei musei, lavori di grafica, oggetti di design). Sarebbe improprio invece parlare di piano “passivo”, poiché si ritiene che ogni tipo di contenuto venga necessariamente filtrato dall'utente attraverso una rete di fattori personali che abbracciano elementi diversi, come la sua storia individuale (la preparazione culturale, ma anche l'insieme di esperienze vissute) e la situazione fisica in cui avviene la fruizione, la quale interviene a favorire o attutire a seconda dei casi il grado di attenzione ed il livello di percezione (ad esempio, un conto è ascoltare musica o una notizia alla radio mentre si viaggia, si lavora o ci si trova in un locale affollato, un conto è l'ascolto musicale che una medesima persona riesce ad attivare in un teatro o tramite delle cuffie ad alta definizione ascoltando ad occhi chiusi, così come è assolutamente diversa l'attenzione che si riesce a sviluppare leggendo un articolo in una stanza silenziosa, una biblioteca o uno studio).

Dunque, anche le persone che non hanno un'esperienza diretta con una disciplina artistica sviluppano una propria cifra di partecipazione al campo dell'arte in qualità di ricettori o fruitori (pubblico, utenti, consumatori delle opere e dei prodotti artistici). Chiaramente, le quote di pubblico più alte vanno ad accumularsi verso i prodotti artistici che -per formato- riescono ad intersecarsi con maggiore efficacia tra le maglie di altre azioni che comunemente cadenzano la giornata della popolazione media (su tutte, le forme di musica o video di breve durata, adatti alla portabilità permessa dai telefoni di ultima e penultima generazione).

Non va però sottovalutato il dato sorprendente delle numerose visite registrate nell'ultimo anno dai musei italiani, in un contesto economico -nazionale ed internazionale- che da tempo parla di “crisi”. Più in generale, va detto che la moltitudine di offerte artistiche -diverse per tipologia e contenuto- rispecchia una medesima diversità di tipologie umane, accomunate dal riferimento più o meno consapevole che tutte fanno al campo dell'arte per colmare di significato o appagamento la propria condizione di esseri viventi. In altre parole, si può dire che esistano sul mercato dell'arte tante opere (tra canzoni, libri, quadri, film di maggiore o minore qualità) quanti sono gli esseri umani o le categorie in cui i diversi esseri umani si riconoscono, ma se prendiamo assieme tutte le opere ed i prodotti artistici esistenti ricaviamo un'informazione complessiva: che gli esseri umani di ogni estrazione sociale trovano almeno un momento della loro giornata da dedicare all'arte (dalla canzone al libro al telefilm) in cerca di un completamento alle loro esperienze quotidiane.

A questo punto è necessario porre un quesito di fondo: che cosa cerca una persona nell'arte? La risposta in parte è già stata fornita, ma per operare un'analisi più precisa, è il caso di selezionare meglio il campo di osservazione: il dato si fa più evidente, infatti, se si prende il caso di quelle forme artistiche che non raggiungono (o non “invadono”) i fruitori nella loro dimensione quotidiana (tramite la portabilità tecnologica), ma che al contrario impongono una scelta volontaria e determinata da parte dell'utente, magari unita ad un condizionamento fisico (lo spostamento necessario per recarsi a teatro o in un museo, ad esempio) oltre che temporale (ritagliarsi uno spazio di tempo libero da dedicare integralmente all'esperienza artistica). L'esempio più chiaro di una situazione opposta può essere quello del programma televisivo che si guarda a casa propria, mentre si svolge una serie di attività accessorie legate alla sfera domestica (cucinare, mangiare, usare il telefono etc.). In questo caso, la concentrazione dello spazio fisico all'interno della propria dimensione privata (l'appartamento), fa sì che lo spazio temporale coperto dal contenuto (il programma televisivo) venga ripartito -quantitativamente e qualitativamente- tra una serie di altre azioni che sottraggono esclusività all'esperienza, negando in partenza ogni possibilità di produrre un'attenzione massimale durante l'ascolto.
Una caratteristica altrettanto importante riguarda la fruizione: il suo processo è caratterizzato da un utilizzo più o meno attivo e personale delle proprie capacità di percezione ed analisi, a seconda del tipo di opera che si fruisce. Ad esempio, il ruolo attivo della fruizione è spiccato di norma quando l'opera non è fortemente "codificata", tramite la presenza di spiegazioni esplicite (come capita ad esempio in una conferenza, in un documentario o in una narrazione, dove gli argomenti sono accompagnati da una guida, sia esso un relatore, un presentatore o un attore) o tramite un uso massiccio di strumenti sensoriali, quali musica o video (come avviene spesso nel cinema, nella televisione ed in determinate forme di spettacolo dal vivo che puntano sulla spettacolarità esteriore, come ad esempio il musical).

La fruizione risponde infatti a dei meccanismi piuttosto specifici, che si possono schematizzare sotto forma di due direzioni:

  • quando l'opera è fortemente codificata e connotata accade che l'osservazione procede dall'opera verso lo sguardo del fruitore. E' l'opera che cattura lo sguardo del fruitore e che guida la sua attenzione;
  • quando invece l'opera lascia un margine di vuoto interpretativo tra sé ed il pubblico, la fruizione procede in direzione opposta, dal fruitore verso l'opera. E' lo sguardo dell'osservatore che sceglie l'opera e ne estrae il significato tramite una azione di analisi ed interpretazione.

Ciò detto, è opportuno tornare al quesito di base: che cosa ci spinge verso l'arte? Cos'è che ci muove? Che cosa cerchiamo? Ed in definitiva, qual'è la funzione dell'arte? 
Quando ci rechiamo ad una mostra di pittura, ad un concerto di musica da camera o a vedere una performance teatrale il più delle volte ci aspettiamo di fare una esperienza trasformazionale, ovvero di uscire in qualche modo diversi da come eravamo prima, arricchiti da una visione più chiara sul mondo e su di noi, su ciò che siamo, su come essere noi stessi e come vivere a pieno la nostra condizione. Si tratta naturalmente di una aspettativa che può essere più o meno cosciente, persino del tutto inconsapevole ma capace di agire ad uno stato latente, spingendo la persona a compiere delle scelte pratiche e delle azioni concrete (informarsi, organizzarsi, uscire, prenotare etc.)

Talvolta, questo appuntamento con l'arte può anche svuotarsi di significato e diventare una “non-scelta”, quando si tratta di un'azione non autonomamente determinata, ma condizionata da amicizie, pubblicità o meccanicità (ad esempio, se si tratta di un'abitudine inculcata da un contesto familiare, lavorativo o dall'ambiente che si frequenta).

In ogni caso, all'aspettativa di vivere un'esperienza importante può far spesso seguito una frustrazione, come quella che si può provare quando si esce dal museo o dal teatro e si avverte che quella trasformazione interiore non è avvenuta.

Può anzi capitare che le opere fruite siano addirittura risultate poco comprensibili: abbiamo capito poco un film, dei quadri o delle sculture su cui abbiamo posato il nostro sguardo ed aperto la nostra osservazione. Magari, sentiamo di non avere capito affatto.

La frustrazione può diventare duplice nelle persone più auto-critiche, che arrivano a sentirsi colpevoli di quell'insuccesso: è colpa mia se non ho capito o non ho provato emozione, colpa della mia ignoranza, della mia incapacità di emozionarmi, della mia natura cattiva o difettosa. Non sono all'altezza.

Non è questo il campo per l'analisi di tali dinamiche, che innescano la necessità di competenze specifiche e dipendono in maniera determinante dalle singole storie personali, ma è importante cogliere il dato di fondo: l'eventuale frustrazione che può accompagnare la fruizione artistica non è un limite, bensì una conferma della profondità dell'esperienza, del grado di coinvolgimento personale che si attiva quando ci rivolgiamo all'arte. (CONTINUA)
Paolo Verlengia

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