COSTELLAZIONI
di Nick Payne
In
scena il 21 novembre 2016 al Florian Espace, Pescara
Immaginate
l'effetto di uno zapping piuttosto frenetico e nervoso, oppure
la strana ebbrezza che si può provare da una cabina di regia dotata
di tasti di pausa e riavvolgimento, con la piena libertà di
intervenire su personaggi e vicenda. Aggiungete la modalità di un
software da foto-ritocco, che permetta di far virare colori e
sfumature, o di deformare linee e lineamenti, benché qui la materia
su cui si agisce è quella dei moti interiori e degli umori
personali.
Tutto
interessante, naturalmente, persino indispensabile per chi è
assuefatto alle potenzialità del multi-tasking, ma la sorpresa è
che parliamo di uno spettacolo teatrale, non di una applicazione del
web né di un lungometraggio cinematografico. A dire il vero, vengono
alla mente -mentre si guarda “Costellazioni” del giovane
drammaturgo inglese Nick Payne- un paio di fortunate pellicole della
recente storia del cinema (“Sliding Doors” o “21 Grammi”) per
vaghe affinità strutturali e narrative, ma in realtà non c'è
spazio per troppe riflessioni nelle maglie strettissime dei dialoghi.
Il plurale è assolutamente d'obbligo per questo lavoro, in cui
l'autore sfrutta brillantemente i principi della cosmologia
quantistica, il che porta in scena ad una frammentazione del tempo, a
partire da una situazione iniziale -questa sì- più teatrale che
narrativa (l'incontro tra un ragazzo ed una ragazza) elaborando la
gamma delle diverse variazioni possibili (lei spigliata, lui
introverso, lei sulla difensiva, lui incoraggiante e così via, fino
a sviluppi più sfumati e meno schematici).
Le
unità aristoteliche, con cui si definisce l'origine del linguaggio
teatrale, sono state superate ben prima di oggi, ma qui appaiono
definitivamente surclassate, lasciando nelle mani della compagnia un
materiale stimolante quanto difficile, sotto vari punti di vista,
perché anche con i mezzi ed i modi dell'evo contemporaneo il teatro
rimane uno strumento artistico più vincolante d'altri. Qui subentra
la regia di Silvio Peroni, attento osservatore della scena
anglosassone, che propende per un intervento poco protagonistico,
tutto sbilanciato sul lavoro degli attori. A questo sembra mirare la
rimozione delle quinte che espongono a vista i fari laterali, ma che
soprattutto isolano volutamente i due personaggi come se fossero
oggetto di un esperimento al di sotto di una lente di ingrandimento,
e nella stessa direzione giocano gli altri due elementi scenografici:
una pedana bassa a terra ed un “tetto” di lampadine sospeso sulle
teste della ricercatrice Marianna e dell'apicoltore Orlando. Il primo
elemento -un elegante “pavimento” mosso da motivi geometrici (con
ampi esagoni che alludono ad un alveare)- è in realtà un mero
perimetro che delimita fortemente l'area d'azione degli attori,
mantenendoli sempre costantemente “al di là” rispetto al
pubblico, eppure mai distanti, per via di un allestimento che non
necessita di ulteriori smascheramenti, contatti o ammiccamenti di
sorta. Al contempo, la pedana è una “palestra attoriale”, dove
Aurora Peres e Jacopo Venturiero si reinventano continuamente nei
loro ruoli -individuali e reciproci- fisicizzando le variazioni e le
reiterazioni inventate da Nick Payne. In alto, le luci non infondono
l'aura rassicurante delle decorazioni a festa, a cui farebbero
pensare a tutta prima, per farsi decisamente un prolungamento
drammaturgico: le scariche elettriche, che le fanno ronzare in
maniera intermittente, disegnano quasi l'ombra di un piano superiore
di intelligenza, che regge le vite dei due protagonisti proiettate
sui mille universi paralleli e forse ne custodisce il senso ultimo.
Ma
infatti, qual è il senso che si trae da questa interpretazione
dell'esistenza? L'idea di un caos che governa tutto, ci fa sentire
più liberi o più perduti? La pièce -fortunatamente- non fornisce
risposte e lo spettacolo propone questioni di interesse non solo
filosofiche. La co-presenza di quanto si fa e di quanto non si fa, di
quanto diciamo e di quanto tacciamo, permette al drammaturgo di far
convivere senza sforzi la commedia brillante con il dramma (dove, per
giunta, è la parola stessa ad entrare tragicamente in crisi). Dal
canto loro, attori e regista rivelano non solo abilità, ma acume e
gusto nel non strumentalizzare lo spartito di variazioni offerto dal
testo, che pure fornirebbe l'ideale sponda per spettacolarizzare il
talento degli interpreti. I personaggi appaiono sempre solidi e
coesi, pur nella rifrazione dei loro tanti comportamenti potenziali;
in questo, collabora lo stesso Payne, che dimostra di governare con
equilibrio la scrittura, non limitandosi ad ideare semplici sketch né
a vivacchiare su di un'idea forte di partenza.
Così,
a ben vedere, il sentimento che predomina alla fine dello spettacolo,
non è la freddezza cinica trasmessa dal primato del caso e neanche
qualcosa di grande o di definito. A lungo andare, lo strenuo
dibattersi dei due personaggi sui fili sottili delle infinite
possibilità finisce per irradiare un calore piccolo, poco più di
una tenerezza, ispirata però da un senso di ritrovata importanza
verso i dettagli minimi delle nostre giornate più ordinarie, dove il
futuro già vibra, già pulsa e si prepara a prendere corpo.
Paolo
Verlengia
TEATRIONLINE (IL PORTALE DELL'INFORMAZIONE TEATRALE)
TEATRIONLINE (IL PORTALE DELL'INFORMAZIONE TEATRALE)
“Costellazioni”
con
Aurora Peres e Jacopo Venturiero
Testo:
Nick Payne
Regia:
Silvio Peroni
Scene
e Costumi: Marta Crisolini Malatesta
Disegno
Luci: Valerio Tiber
Produzione:
Khora Teatro
Commenti
Posta un commento