“GYNECEO”
DI TEATRO IMMEDIATO
Andato
in cena l'11 e il 12 marzo 2017 presso Auditorium Petruzzi, Pescara
Con
“Gyneceo” la compagnia Teatro Immediato affronta il secondo
stadio di una trilogia iniziata la stagione scorsa con il
fortunatissimo spettacolo Caprò.
Nel confronto con il “primogenito”, un tratto distintivo si
manifesta in maniera palese: dal monologo maschile si passa ad un
dialogo tra tre donne, interpretato da Tiziana Di Tonno, Maria Pia Di
Domenico e Valeria Ferri. La “svolta” al femminile non si può
limitare naturalmente ad una questione puramente formale, andando a
toccare inevitabilmente anche la sfera tematica. Qui si gioca il
primo snodo importante: la questione del gender
è oggi quanto mai attuale nel dibattito pubblico, producendo spesso
lo sviluppo non semplicemente di una letteratura specifica ma anche
quello della retorica. Entrambe le categorie agiscono – seppur a
diverso titolo – nella creazione di una nuova cultura basata sulla
consapevolezza, e qui si intende riflettere esclusivamente sulle
questioni teatrali.
Su
questo terreno, la scelta di un argomento “sensibile” pone sempre
il drammaturgo in una posizione meno libera, se non proprio
condizionata, dove per lo meno reperire e difendere la genuinità del
germe creativo diviene un compito più arduo del solito. A questo va
aggiunto un secondo grado di condizionamento potenziale,
rappresentato dalla sfida di un testo come Gyneceo, scritto e
diretto da mani maschili (quelle di Vincenzo Mambella in qualità di
autore e di Edoardo Oliva come regista). Chiaramente ciò non
rappresenterebbe e non rappresenta un inedito, anche limitandoci alla
sola tradizione teatrale, dove già sul finire dell’Ottocento un
certo Henrik Ibsen sfidò pervicacemente la censura per mettere in
scena quasi psicanaliticamente il punto di vista delle sue eroine.
Oggi più che altro il rischio può essere – sempre e solo
artisticamente parlando – quello di cedere alla sirena del consenso
del pubblico – specialmente di quello femminile – su di una
versione celebrativa dell’altra metà del cielo.
Da
questa prospettiva si potrebbe dire che Mambella e Oliva abbiano
deciso di prendere di petto la questione: il destino che lentamente
emerge dalle confidenze amene delle tre donne in scena svela presto i
toni del dolore, dell’offesa, del sopruso, persino dell’abuso.
Così torniamo alla problematica di partenza, con tutti i diversi
rischi artistici posti da una tematica come quella della violenza di
genere. In realtà lo spettacolo sembra vivere di una energia tutta
drammaturgica, che lambisce la sfera sociale solo per quella quota
necessaria ed insopprimibile. Al di là dalle connotazioni specifiche
di quest’ultimo lavoro, è il tema tragico – al lordo dei suoi
meccanismi – il motore da cui la produzione di Teatro Immediato
sembra muovere ed a cui sembra raccordarsi di volta in volta, secondo
una scala di quelle che appaiono variazioni sul tema.
Rimanendo nella misura strettissima della trilogia di appartenenza, è
sullo sviluppo del tragico che Gyneceo trova le attinenze più
evidenti con Caprò.
Allo
stesso modo lo strumento del ricordo è la leva principale della
drammaturgia, spostando l’asse della recitazione e della regia alla
ricerca di gesti ora routinari, ora rituali. La scenografia di
Francesco Vitelli rispecchia questo progetto, nelle fattezze di una
fontana che ispira le attrici a pose plastiche. Tornando alla
centralità del ricordo, il protagonismo della memoria è determinato
– in teatro come nel cinema – dall’impianto realistico
dell’azione, dove incontri e situazioni non sono che il preambolo
per uno scavo nella storia antecedente dei personaggi. Ma è qui che
lo spettacolo dà il meglio di sé: l’impronta tradizionale e
rassicurante proiettata inizialmente, si rivela ambigua e prismatica
nella seconda parte, dove il sembiante realistico viene
progressivamente abbandonato a favore di un’interpretazione
necessariamente fantasmatica di ciò che si vede, o di ciò che
appare. Chi sono queste tre donne, appartenenti e a tre diverse età,
e qual è il rapporto che le lega? Ecco allora che Gyneceo
mostra la sua struttura più autentica che è quella di un mystery,
che non intacca il portato esistenziale della vicenda raccontata, e
che si risolve infine in chiave poetica.
Paolo
Verlengia
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