“I
GIGANTI DELLA MONTAGNA – RADIO EDIT” DI ROBERTO LATINI
Andato
in scena il 18 febbraio 2017 al Florian Espace, Pescara
Uno
spettacolo non si racconta. Nessun precetto, per carità. E' solo la
presa d'atto di una condizione impossibile, talmente vera e rigorosa
che -se si vuole- la si può fissare e tramandare come fosse una
regola. Il teatro di Roberto Latini non solo non può esimersi da
questa regola, ma sembra quasi che muova proprio a partire da essa.
Prendiamo
ad esempio “I Giganti della Montagna – Radio Edit”, spettacolo
a cui Latini approda per stadi e studi graduali, replicando per certi
versi l'incedere stratificato con cui Pirandello compose il suo
ultimo testo e ne costruì la messinscena, fermandosi prima di poter
completare l'opera.
Il
palcoscenico che si intravede e che si lascia spiare dalla platea nei
minuti che precedono lo spettacolo mostra i connotati di un
laboratorio dormiente, pronto ad accendersi ed a riempire il vuoto
rigoroso di cui si ammanta. Al
centro, nella penombra si staglia lo scheletro formato dalle
aste di tre microfoni convergenti, coperti da un quadrato di tessuto
morbido, come le punte di ferri chirurgici. Questo puro altrove
inizia finalmente a colorarsi di connotati collocabili, pur rimanendo
volutamente altro: il verso acre di uno stormo di corvi
irrompe, dislocandoci al di fuori delle nostre coordinate
spazio-temporali, in un oltre archetipico e silvestre. Ma il richiamo
è troppo breve e troppo criptico perché i nostri sensi riescano ad
elaborarne un'immagine chiara e riconoscibile.
L'attore
entra in scena, prende rapidamente possesso della sua postazione
sonora. Il velo viene rimosso, la scena si attiva quasi rianimata
dalla sostanza del respiro. Non è un semplice modo di dire: prima di
affiorare alle forme del significato, la voce di Latini danza nelle
stanze del sospiro e della parola isolata, reiterata, rimandando
quanto più possibile il passo che varca la linea del confine con il
flusso della frase compiuta. Come un graffio, l'ingresso del suono
sintetico azzera i nostri processi di localizzazione appena
imbastiti, mentre la parola si dischiude definitivamente e si espande
nello spazio semi-buio. E' questo che avviene nell'attacco
elettrizzante dello spettacolo, mentre il ritmo martellante trascina
e seduce: non è solo un incipit drammaturgico, ma un vero e proprio
rito di nascita che ha per oggetto la parola, venato di grido e di
spinte violente proprio come un parto.
Con
quest'ultima versione del suo “Radio-Edit”, Latini approda ad un
risultato che travalica il piano estetico della ricerca sulla voce
o sulla phoné, per donare ogni evidenza ed ogni protagonismo
alla parola. L'impaginazione scenica dei diversi momenti dello
spettacolo altro non è che la scansione in capitoli di questo
programma e persino la presenza fisica dell'attore è lì per dare
corpo alla parola anziché
trarne vantaggio (accentrando ogni sguardo o assommando su di sé
tutti gli assoli distribuiti nel testo). L'ormai celebre solitudine
monologante di Roberto Latini appare in questo lavoro la chiave che
libera le parole di Pirandello da un ultimo incasellamento: quello
che le riferisce ai singoli personaggi, relativizzandole in forma di
opinioni individuali, repliche, reazioni o semplici sonorità di
accompagnamento alle azioni.
Accade
così che proprio un testo parziale, strappato anzi tempo alla sua
definizione come “I Giganti della Montagna” mostri tutta la sua
pienezza sotto la lente della nuova prospettiva fornita da Latini.
Annullate le dinamiche dialogiche, scardinate le convenzioni
drammatiche, la parola pirandelliana acquisisce la potenza di un
poema sapienziale che conduce forse a massima resa il portato
espressivo di questo testo già “finale” in sé, tanto da non
aver bisogno di una conclusione strutturale.
Nella
sensorialità dello spettacolo, questa operazione incontra effetti
tangibili: senza il tramite di personaggi che patiscano o che si
illuminino, il riverbero emozionale delle parole tocca da vicino
l'individualità dello spettatore, il quale riguadagna un ruolo
attivo senza bisogno di straniamenti o smantellamenti d'illusione. E'
l'universalità il canale che Latini intercetta per raggiungere
l'intimità del pubblico, riuscendo a muovere le sue corde con tocchi
spesso trattenuti ma non per questo meno intensi. La fisicità
prepotente del performer tende paradossalmente a nascondersi o
a ritrarsi, prima contenuta a lungo dietro i contorni del controluce,
poi esposta in una recitazione rarefatta, connotata da passi incerti,
gesti accennati, pose fragili. Dismessa l'armatura degli strumenti
amplificanti, riverberanti e distorcenti, la scena libera non viene
colonizzata dalla presenza dell'attore, mantenendo fede al disegno di
uno spettacolo che si materializza attraverso una intelaiatura di
vuoti e di pieni.
Latini
scompare e riappare, pur restando sempre in scena: il suo volto si
copre di maschere “magrittiane” o di garze tascabili, il suo
sguardo -iniettato di luce arcana per effetto di lenti ottiche
fluorescenti- si apre con centellinata rarità alla visibilità dello
spettatore, la sua presenza raggiunge il proscenio solo tardivamente,
dopo essere rifuggita quasi brancolando verso fondali spogli.
Poi
svanisce definitivamente, ultima essenza dei fantasmi pirandelliani,
sciamanica e solenne.
Paolo Verlengia (www.teatrionline.com)
“I
Giganti della Montagna – Radio Edit”
con
Roberto Latini
Adattamento
e Regia: Roberto Latini
Musiche
e suoni: Gianluca Misiti
Luci:
Max Mugnai
Produzione:
Fortebraccio Teatro
Collaborazione:
Armunia Festival Costa degli Etruschi, Festival Orizzonti, Fondazione
Orizzonti d'Arte, Emilia Romagna Teatro Fondazione, con il contributo
di Mibact e Regione Emilia Romagna
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